Schiaparelli primavera estate 2020 – Ha sfilato a Parigi la collezione Schiaparelli Haute Couture Primavera Estate 2020. Daniel Roseberry indaga il ruolo femminile, si interroga sul significato della parola “musa”, ricorda le donne e le ragazze della sua vita: sua madre, le sue sorelle, le sue amiche.

Daniel Roseberry scompone finemente i contorni della femminilità, è ne comprendere l’esistenza di una certa dualità. Se guardiamo indietro nella storia, essere donna implicava dover nascondere una parte di sé. Era pericoloso essere troppo potente, troppo seducente, troppo elegante, troppo sovversive. È da lì che Daniel è partito per immaginare la collezione. Pensando molto a come le donne, allora ed adesso, hanno sempre vissuto in due regni contemporaneamente.

La prima musa è ovviamente Elsa Schiaparelli. Una sognatrice, mai in senso evanescente. Al contrario, i suoi sogni erano motori propulsivi, esuberanti, ribelli e ambiziosi. Ha creato solo per se stessa. Era irriverente in senso letterale, non avendo né il tempo né la pazienza di occuparsi delle convenzioni. Vivere così, pensare come lei, richiedeva un vero coraggio ma anche una forte dose di immaginazione.

Essere una donna dai gusti e dalla visione singolari non significava che non abbracciasse anche il glamour, la performance, il brivido e la potenza della propria sensualità. Tutti conosciamo questa donna capace, con la sua presenza, dal momento in cui entra in una stanza, di immobilizzare la scena. Questo tipo di donna, definita da un pieno e incrollabile senso di sé.

Da lì, Daniel è arrivato ad immaginare due personaggi, una surrealista e una seduttrice. E sono queste due figure – e lo spazio immaginario che le separa – che celebra in questa collezione.

Per il carattere femminile, diurno, ha creato ampi costumi in lana leggera drappeggiata che distillano nonchalance. Declinata in una tavolozza di cioccolato, caramello, panna, navy, nero. E per la seduttrice nottambula, abiti scintillanti in faille di seta e raso iper saturi, in tinta nero, bianco e blu reale.

Queste due dimensioni di giorno e notte, spirituale e sensuale, si fondono in una comunione tattile: la lana asciutta dei completi che si stropicciano tra le mani come foglie; la consistenza burrosa di un body in pelle e l’importanza di bijoux che sublimano non solo viso e dita, ma l’intera silhouette.

Daniel rende omaggio al senso del dettaglio caro ai surrealisti e ai dadaisti, che concentravano e sezionavano le diverse parti del corpo – occhio, schiena, torso – ma anche ispirarsi alle forme di Alberto Giacometti, che traduceva la forma umana in una serie di linee poetiche. Influenza evidente nei gioielli in ottone a forma di bastone, omaggio allo scheletro umano.

I gioielli sono indisciplinati: si applicano agli avambracci, all’ombelico, alle clavicole, alle ciglia, per modificare spazio e volumi e ricordare che ogni parte del corpo di una donna può essere adornata.

Così come ogni ornamento può cambiare le sue forme: denti coronati di diamanti, polsi profilati da sottili bacchette di ottone cucite su delicati guanti di tulle e gli scintillanti ricami sul busto e sui fianchi: un cenno al rivoluzionario abito in crêpe di seta di Elsa, lo Skeleton Dress del 1938. Lungi dall’essere semplici accessori o appendici, i gioielli sono un organo, essenziale e vitale come un cuore o un polmone.

“Il mio vero sogno, sempre, è vestire donne che si sentano viste. Non solo per il loro aspetto, ma per quello che sono dentro. La parte di sé che vogliono mostrare al mondo, ma anche quella che riservano a coloro che amano. Sono abiti per un regno del fantastico, ma anche capaci di rivelare la verità di chi li indossa” conclude Daniel Roseberry.