The Human Voice Pedro Almodóvar: desiderio, amore e abbandono, il corto sperimentale
The Human Voice Pedro Almodóvar – Il cortometraggio del maestro, presentato fuori concorso alla 77° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, liberamente tratto dalla pièce di Jean Cocteau, arriva nelle sale italiane distribuito da Warner Bros. Pictures dal 13 Maggio.
The Human Voice Pedro Almodóvar: il trailer ufficiale
LA TRAMA
Una donna guarda passare il tempo accanto alle valigie del suo ex amante (che dovrebbe tornare a prenderle, ma invece non arriverà mai) e a un cane irrequieto, che non capisce che il suo padrone lo ha abbandonato. Due esseri viventi che affrontano l’abbandono. Nei tre giorni di attesa, la donna esce in strada una sola volta, per comprare un’ascia e una tanica di benzina.
La donna attraversa tutti gli stati d’animo possibili: l’impotenza, la disperazione, e la perdita di controllo. Si trucca, si veste come se dovesse andare a una festa, pensa di buttarsi dal balcone, finché il suo ex amante non le telefona: ma è in uno stato di incoscienza, avendo preso un mix di tredici pillole, e non può rispondere alla chiamata. Il cane le lecca il viso finché non si risveglia. Dopo una doccia fredda, ravvivata da un caffè nero come il suo stato d’animo, il telefono squilla di nuovo e questa volta la donna riesce a rispondere.
La ‘Voce Umana’ è la sua, quella del suo amato non si sente mai. All’inizio lei finge di essere calma e di comportarsi in modo normale, ma è sempre sul punto di esplodere di fronte all’ipocrisia e alla meschinità dell’uomo.
PAROLA A PEDRO ALMODOVAR
“Il testo di Cocteau su cui si basa liberamente la sceneggiatura di questa human voice è una mia vecchia conoscenza, che mi è stata d’ispirazione in altre occasioni. Ho provato ad adattarlo quando ho iniziato a scrivere Donne sull’orlo di una crisi di nervi, ma quel che ne è venuto fuori è stata una commedia stravagante in cui l’amante non ha chiamato e, quindi, non c’era posto per il monologo telefonico.
Un anno prima, l’ho incluso in una scena di La legge del desiderio, dove il protagonista è un regista che dirige sua sorella in una versione di The Human Voice. Già allora pensavo che un personaggio così irrequieto fosse in grado di armarsi di un’ascia per distruggere la casa in cui aveva vissuto con l’uomo che l’ha abbandonata. L’idea dell’ascia è quindi nata ne La legge del desiderio. E ora riappare.
Mi sono seduto nuovamente per adattare il testo di Cocteau, determinato a rimanere fedele all’autore. L’ho letto per la prima volta decenni fa. Ma essendo chiaramente infedele per natura, ho dovuto aggiungere “liberamente tratto” a questa versione, perché lo è realmente. Ho mantenuto l’essenziale, la disperazione della donna, l’alto prezzo imposto dalla legge del desiderio che è disposta a pagare, anche quasi a costo della vita. Un cane che piange anch’esso il suo padrone, e alcune valigie piene di ricordi.
Il resto, la conversazione telefonica, l’attesa e quello che succede dopo, l’ho adattato al mio modo di concepire una donna contemporanea, pazza d’amore per un uomo che impiega giorni a chiamare per prendere le sue valigie, ma con una sufficiente autonomia morale per non prostrarsi davanti a lui. Non è una donna sottomessa, come nel testo originale. Non può esserlo, visti i tempi in cui viviamo.
Ho sempre considerato questo adattamento come un esperimento, un ghiribizzo per mostrare quella che in teatro viene chiamata la quarta parete, e nel cinema il ‘dietro’, cioè la struttura in legno che regge i muri di un set realistico, la realtà materiale di ciò che è immaginario. La realtà di questa donna è il dolore, la solitudine, il buio in cui vive. Ho cercato di rendere il tutto in modo palese, commovente ed eloquente attraverso la (sublime) performance di Tilda Swinton, mostrando fin dall’inizio la sua casa come una costruzione all’interno di un palcoscenico cinematografico.
Mostrandola da tutti i lati, uscendo dall’arredamento realistico e sfruttando tutto lo spazio dello studio, ho ingrandito, per così dire, le dimensioni dell’ambientazione in cui viene eseguito il monologo. Ho mescolato il cinematografico e il teatrale, combinando le loro essenze. Ad esempio, quando Lei è lì che aspetta sulla terrazza, con lo sguardo rivolto verso la città, l’unica cosa che vediamo è un muro (il muro dello studio) che porta ancora i segni di altre riprese. Non c’è orizzonte; il panorama urbano non esiste. Trova solo vuotezza, asprezza e oscurità. Il che mi ha permesso di accentuare la sensazione di solitudine e oscurità in cui vive il personaggio.
Lo studio in cui abbiamo girato è diventato così l’ambientazione in cui si è svolta tutta l’azione, e l’allestimento del set realistico dove la protagonista vive e aspetta, mostra la struttura in legno che lo sostiene, un po’ come mostrare la pelle del set. Anche l’uso della lingua inglese è stato un esperimento per me. Sono un regista totalmente libero in ambito lavorativo, e questa volta, avendo scelto di non seguire un formato standard, mi sono sentito più libero che mai. Mi sono liberato del mio linguaggio, della durata minima di 90 minuti, del dover stare attento a non mostrare cosa c’è dietro la costruzione del set, ecc., e tutto ciò ha significato un vero e proprio motivo di rottura per me.
Questo non significa che tutto si adattava alla perfezione. I limiti erano nella mia testa, ma altresì esistevano ed erano inflessibili. Un’opera fatta con tanta libertà ha bisogno anche del rigore della messa in scena, quasi più di altre. Non era una semplice questione, ad esempio, di filmare le riprese del monologo, del cinema all’interno del teatro, di mostrare i riflettori, le telecamere, i cavi, insieme a tutti gli altri elementi della costruzione. Non era quello. Tutto ciò che ho mostrato di non realistico, serviva a rafforzare l’idea della solitudine e dell’esilio della protagonista: l’isolamento in cui vive.
Dietro ogni stravaganza, c’è sempre un’idea drammatica. In un’immagine dell’intero set, da una ripresa dall’alto, ho voluto mostrare la protagonista racchiusa in esso, minuscola, come in una casa di bambole. L’inizio, prima dei titoli di testa, è come il prologo di un’opera. Gli abiti di Balenciaga mi hanno aiutato a creare quell’illusione. La prima sequenza mostra una donna che aspetta, vestita in modo stravagante. Sembra un manichino lasciato in un magazzino.
La verità è che mi è piaciuto molto questo esperimento. Trasformare, ad esempio, un enorme green screen, solitamente così brutto, in una sorta di sipario operistico è stato stimolante, divertente ed emozionante. Il fatto di approcciarmi al film come un’opera da camera, un lavoro sperimentale, mi ha fatto dimenticare i piccoli pregiudizi su mobili, oggetti di scena e musica. Ci sono diversi completi d’arredo che sono apparsi in altri miei film.
Stesso discorso per la musica. Ho proposto ad Alberto Iglesias di sviluppare composizioni di altri nostri film, adattandole al tempo e al mood di The Human Voice. Ed è quel che ha fatto. Con l’eccezione di alcune basi elettroniche, la colonna sonora è
composta da temi di Gli abbracci spezzati, La mala educación, Parla con lei e Gli amanti passeggeri, rivisitati per questo film.
Prima di iniziare avevo molte idee estetiche pratiche, ma The Human Voice è soprattutto un testo e un’attrice. È stato difficile adattare il testo alla mia visione, e necessitava di un’attrice eccezionale che portasse verità ed emozione alle mie parole. La mia versione è più astratta di quella di Cocteau (dove tutto è più riconoscibile e naturale), rendendola più difficile da interpretare. È circondata da artifici dalla nascita, con pochi supporti realistici. La voce dell’attrice è l’unica continuità che deve essere rispettata, è l’unica guida che ha lo spettatore per seguire la storia senza shock improvvisi.
Mai come per questo ‘capriccio’ ho avuto bisogno di un’attrice eccezionale. E l’ho trovata, con tutti gli attributi desiderati, in Tilda Swinton. Nonostante il fatto che sia parlato in inglese, che The Human Voice sia il mio debutto in quella lingua e che le riprese siano state assolutamente idilliache, non sono sicuro di esser pronto per affrontare un’altra sfida in inglese. Quello di cui sono sicuro è che posso dirigere Tilda Swinton nella sua lingua madre. Penso che questo cortometraggio, gestito dall’inizio alla fine esclusivamente da lei, mostri la sua vasta gamma di registri. Per la troupe, è stato un dono sentirla parlare e vederla muoversi sul set. La sua intelligenza e la sua disponibilità hanno agevolato il mio lavoro. E in particolare, oltre al suo enorme talento, ha avuto fiducia assoluta in me. Questa è una sensazione che tutti i registi sognano, e il solo fatto di averla provata, ti fa crescere.
Ancora una volta le luci sono state affidate a José Luis Alcaine, l’ultimo grande maestro dell’illuminazione del cinema spagnolo. Il leggendario direttore della fotografia di El Sur, il capolavoro di Víctor Erice. Nel set appaiono tutti i colori preferiti della mia tavolozza, e dopo otto film, Alcaine è quello che meglio conosce la mia predilezione per la saturazione e i colori vibranti, e la mia nostalgia per il Technicolor.”
The Human Voice è una lezione morale sul desiderio, anche se la protagonista è sull’orlo dell’abisso. Il rischio è una parte essenziale dell’avventura di vivere e di amare. Il dolore è molto presente nel monologo. Il corto ci parla dello smarrimento e dell’angoscia di due esseri viventi che piangono il loro padrone.
credit image by Press Office – photo by @El Deseo D.A., Iglesias Mas & Nico Bustos