The Fabelmans: l’intima e intensa storia di famiglia del filmmaker, la recensione e lo speciale costumi di scena
The Fabelmans recensione – Ritratto intimo e coinvolgente di un’infanzia nell’America del ‘900, The Fabelmans di Steven Spielberg, ripercorre gli eventi che hanno scandito la vita e la carriera del filmmaker. Questo racconto di formazione, incentrato sul desiderio di un ragazzo di riuscire a realizzare i propri sogni, ha un’eco universale nella sua esplorazione di temi quali l’amore, l’ambizione artistica, il sacrificio, nonché di quei segreti inconfessabili che consentono di fare luce su sé stessi e sui propri cari, con chiarezza ed empatia.
The Fabelmans recensione: il trailer ufficiale
Sammy Fabelman (Gabiel LaBelle) è appassionato di cinematografia, un interesse alimentato in lui anche da sua madre Mitzi (Michelle Williams), donna dalla spiccata vena artistica. Suo padre Burt (Paul Dano), è invece un uomo di scienza dalla brillante carriera che, pur non opponendosi alle aspirazioni del figlio, le considera alla stregua di un hobby.
Nel corso degli anni, Sammy continuerà a documentare le vicende della sua famiglia, girando film amatoriali sempre più elaborati, interpretati da sua sorella e dai suoi amici. A 16 anni è già un acuto osservatore e narratore della sua realtà familiare, ma quando i suoi si trasferiscono altrove, Sammy scoprirà una verità sconvolgente che riguarda sua madre e che cambierà per sempre il suo rapporto con lei, con ripercussioni sul suo futuro e su quello dell’intera famiglia.
Nel cast di The Fabelmans anche Seth Rogen nel ruolo di Bennie Loewy, il migliore amico di Burt Fabelman, nonché “zio” adottivo dei ragazzi Fabelman, e l’attore nominato agli Academy Award Judd Hirsch nel ruolo di Boris, l’accattivante prozio di Sammy.
Il cast comprende inoltre l’attrice candidata agli Oscar Jeanne Berlin nei panni di Hadassah Fabelman, la nonna paterna di Sammy; Julia Butters nel ruolo di Reggie, la sorella di Sammy; Robin Bartlett nella parte di Tina Schildkraut, la nonna materna di Sammy e Keeley Karsten nei panni di Natalie, l’altra sorella di Sammy.
The Fabelmans è diretto e scritto da Steven Spielberg in collaborazione con il commediografo vincitore del Pulitzer Tony Kushner, che ha ottenuto nomination agli Oscar per le sceneggiature dei film Lincoln e Munich, diretti da Spielberg. Il film è prodotto dalla plurinominata agli Oscar Kristie Macosko Krieger p.g.a., da Steven Spielberg p.g.a. e da Tony Kushner p.g.a. La musica è opera di John Williams, compositore premiato con cinque premi Oscar. I costumi sono stati creati da Mark Bridges mentre le scenografie da Rick Carter.
The Fabelmans recensione: la storia
Nei suoi 50 anni di brillante carriera, il regista Steven Spielberg ha prodotto alcuni dei film più amati e innovativi della storia del cinema, fra cui Lo squalo, E.T., I predatori dell’arca perduta, Jurassic Park, Schindler’s List e Munich. In ciascuna delle sue creazioni, che spaziano da fantasiose speculazioni su incontri con prodigiosi alieni ad attente riflessioni morali sulla storia recente, Spielberg ha condiviso con il pubblico qualcosa di sé e del suo passato. ù
Dopo aver ultimato le riprese del suo primo musical, West Side Story, Spielberg torna con una storia inedita ambientata nell’America del 900, in cui un bambino cerca il suo posto nel mondo: un racconto di formazione ispirato direttamente all’infanzia del leggendario filmmaker che racconta i suoi primi passi nel mondo del cinema.
“La maggior parte dei miei film riflettono le esperienze della mia formazione come filmmaker”, spiega Spielberg. “Quando un regista dirige un film, anche se è basato sulla sceneggiatura di qualcun altro, riversa, volente o nolente, il proprio vissuto nella storia. E in questo caso, The Fabelmans non è neanche una metafora, perché attinge direttamente ai ricordi”.
Spielberg spiega che si tratta di un film a cui pensava già da molto tempo. Tuttavia, ha iniziato a prendere in seria considerazione il progetto solo grazie al forte legame professionale con Tony Kushner, il commediografo e sceneggiatore il cui talento innovativo gli è valso prestigiosi riconoscimenti fra cui il Pulitzer, due Tony Award, un Emmy Award e due nomination agli Oscar per le sceneggiature di Munich e Lincoln. Kushner e Spielberg, nel corso di 16 anni di interviste saltuarie, intense conversazioni e sessioni di scrittura che Spielberg scherzosamente paragona a una sorta di “terapia”, hanno trasformato le esperienze di infanzia di Spielberg nella storia di The Fabelmans.
La collaborazione fra i due è iniziata in modo esplosivo – letteralmente! Una sera, a Malta, nell’autunno del 2005, mentre la troupe di Munich stava cablando un set con gli esplosivi per farlo saltare in aria, Kushner ha rivolto a Spielberg una domanda casuale: “Quando hai deciso che saresti diventato un regista?”. Kushner di certo non sapeva quali profonde e personali riflessioni la sua domanda avrebbe suscitato in Spielberg, né quali conseguenze avrebbe generato. Racconta: “Steven mi ha risposto: ‘Ora ti svelo un segreto’ e ha iniziato a narrarmi la storia che in sostanza è il fulcro di The Fabelmans”.
La storia che Spielberg ha raccontato quella sera, sul set di Munich, ha inizio nel 1952, quando all’età di sei anni, si è recato al cinema, a Philadelphia, per vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecile B. DeMille, un’esperienza che gli ha provocato una sensazione di grande meraviglia, accendendo in lui un forte interesse per i film. Negli anni dell’adolescenza, mentre già ardeva in lui il fuoco sacro per il cinema, ha fatto un altro incontro determinante per la sua carriera, quello con John Ford, il leggendario regista di Ombre rosse, Sentieri selvaggi, L’uomo che uccise Liberty Valance.
Fissando questi due momenti salienti della sua vita all’origine della sua carriera, Spielberg ha raccontato a Kushner dei suoi genitori, Arnold Spielberg, uno dei primi programmatori informatici, e Leah Adler, una pianista ricca di talento, e di come i loro rispettivi valori e personalità — il padre, un tecnico brillante; la madre, un’artista piena di passione – abbiano plasmato il suo carattere e la sua identità artistica.
Spielberg ha raccontato a Kushner del drammatico trasferimento a ovest degli Stati Uniti della sua famiglia, quando era adolescente, dal New Jersey all’Arizona fino alla California; ha condiviso con Kushner il segreto che ha causato la deriva del matrimonio dei suoi genitori e il loro successivo divorzio, rivelando come il dolore generato da quella scoperta abbia per sempre modificato la sua prospettiva sugli altri e le sue narrazioni.
Speciale costumi di scena
The Fabelmans costituisce la prima collaborazione di Steven Spielberg con Mark Bridges, due volte premio Oscar per The Artist e Il filo nascosto, nonché storico collaboratore di Paul Thomas Anderson e di Joel e Ethan Coen, David O. Russell e Paul Greengrass. Bridges ha iniziato il suo lavoro con Spielberg setacciando gli album di fotografie della famiglia di Spielberg e guardando i suoi vecchi filmini artigianali.
“L’idea era di raccogliere tutte le informazioni storiche e personali per illustrare la storia della famiglia e quindi concederci le libertà artistiche necessarie, restando fedeli alla trama e ai personaggi”, dice Bridges.
Spielberg ha subito comunicato a Bridges che il trasferimento a ovest dei Fabelman, avrebbe dovuto avere una diversa tavolozza cromatica, per rispecchiare il cambiamento di atmosfera all’interno della famiglia.
“Il New Jersey dei primi anni ’50 viene rappresentato con tonalità come il bordeaux, il blu, il verde, e il marrone”, spiega Bridges. “L’Arizona, invece, è più luminoso. Non si può dire con certezza, ma è una sensazione. E quando la famiglia si sposta a nord della California, e il mondo di Sammy diventa più confuso, le varietà cromatiche tendono ai colori pastello un po’ sporchi”.
Il film presenta varie difficoltà come la creazione degli abiti da sera per le decine di adolescenti che si recano al ballo di fine anno anni ’60, o degli abiti succinti indossati dagli interpreti della sequenza del ditch day sulla spiaggia, ispirata alle scene dei film sui beach parties degli anni ’60. Ma niente è stato più importante che vestire i membri della famiglia cinematografica di Spielberg.
Mitzi Fabelman ha rappresentato una ricca occasione e una sfida significativa per Bridges, essendo ispirata alla madre di Spielberg, Leah Adler, una donna coraggiosa e unica nel suo genere. Le creazioni di Bridges includono gli suoi elementi più caratteristici dello stile personale di Leah Adler: rossetto rosso, colletto alla Peter Pan e salopettes.
“Leah aveva un gusto incredibile, molto personale, di cui Steven mi ha parlato subito, la prima volta che ci siamo incontrati”, dice Bridges. “Riflettere il suo stile e la sua personalità così particolari incuteva un certo timore, ma Mitzi è stata superlativa. Il film racconta il percorso emotivo e fisico di Mitzi. La sua vita nel New Jersey, negli anni ’50, è molto diversa da quella in California negli anni ‘60”.
Ulteriori dettagli sono stati messi a punto con Michelle Williams, che ha parlato con Bridges di come rappresentare Mitzi dettagliatamente. Mitzi indossa gioielli che appartenevano a Leah, dati in prestito alla produzione dalla sorella di Spielberg, Anne. Leah non indossava spesso gioielli, ma, dice Bridges: “Quando era possibile, li abbiamo aggiunti al guardaroba, perché trasmettevano a Michelle un’energia positiva e volevamo fare un piccolo omaggio anche a Steven”.
Bridges ha affiancato l’attore Paul Dano per ideare un guardaroba adatto a Burt Fabelman, un abbigliamento che catturasse la personalità di uomo tecnologico del padre di Spielberg, Arnold, fonte della sua ispirazione. Una parte importante del loro lavoro è stato tradurre lo stile di Arnold nella fisicità di Dano, che è molto diversa dal padre di Spielberg. I suoi abiti dovevano anche contrastare con quelli di Bennie, collega nonché migliore amico di Burt.
“Volevamo mostrare la differenza fra la personalità dei due uomini, ma abbiamo cercato anche di sottolineare la loro amicizia”, dice Bridges, che ha raggiunto l’obiettivo conferendo a Bennie, interpretato da Seth Rogen, uno stile più irriverente, informale, a base di stampe e fantasie; entrambi, però, hanno in comune il gusto per il tartan scozzese. “Seth è stato fantastico”, dice Bridges. “Abbiamo parlato molto della personalità di Bennie e di come esprimerla attraverso i costumi senza che risultasse troppo manierata, bensì spontanea”.
Per quanto riguarda l’abbigliamento di Sammy, Bridges dichiara di essersi ispirato all’abbigliamento di Spielberg. “E’ stato divertente sfogliare gli album di famiglia di Steven e ricreare il suo look”, dice Bridges. “Sua madre lo vestiva in modo interessante, spesso con le bretelle. Indossava jeans abbondanti, scarpe bicolori, e camicie hawaiane che ancora gli piacciono molto”.
Da vedere perché
The Fabelmans è indiscutibilmente il ritratto di Spielberg, l’artista da giovane, nonché il ponderato tentativo di ricordare i suoi genitori, esprimendo gratitudine per i loro pregi e compassione per le loro fragilità, con la consueta qualità umana che caratterizza tutti i suoi film.
The Fabelmans è la storia di una specifica famiglia ebrea-americana a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60. Il film cattura anche un momento specifico della cultura cinematografica. Il personaggio di Sammy – che vive una crisi di identità a causa di un filmino amatoriale girato in casa, che ridefinirà la sua visione dei suoi genitori e scuoterà la sua fiducia nel mondo — è raccontato sullo sfondo della Hollywood degli anni ’50, un’industria che si lasciava alle spalle l’epoca dei roadshow e dei B movies per inaugurare la Nuova Hollywood degli anni ’70, con film originali, meno patinati, da un lato più realistici, dall’altro più sensazionali, a volte entrambe le cose.
Eppure, il rapporto di Sammy con la cinepresa anticipa la cultura dell’auto documentazione e dei social media. La sua incessante ricerca di emozioni e di momenti catartici riflette una più complessa consapevolezza di come il cinema possa intrattenere e illuminare, esibire e manipolare, mitizzare e demonizzare. Il ragazzino che filmava gli scontri fra i treni per divertimento, a un certo punto matura e si rende conto che la creazione di immagini può anche sconvolgere le persone.
E nel sondare a fondo aspetti personali e specifici, The Fabelmans è diventato una favola universale sul sacrificio e la ricompensa per chi insegue il sogno americano, su chi si adopera per essere migliore e amarsi nel modo giusto. Questo film è una storia sulla famiglia, con genitori, fratelli e sorelle. Una storia sul bullismo, sul bene e il male con cui si viene inevitabilmente in contatto all’interno di una famiglia che può anche disgregarsi; ma è anche una storia sul perdono, e di quanto sia importante perdonare.
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