Cold War Pawel Pawlikowski – Dopo Ida (premio Oscar 2015), Pawlikowski torna a girare in un magnifico bianco e nero, raccontando la storia struggente di un amore impossibile. Un musicista in cerca di libertà e una giovane cantante, fatalmente destinati ad appartenersi, vivono un amore tormentato in un’epoca difficile. Sulle note di una splendida colonna sonora, la guerra fredda della Polonia staliniana lascia il passo a quella sentimentale che vivono i due protagonisti, interpretati da Joanna Kulig e Tomasz Kot.

Europa dell’Est, Yugoslavia, Parigi: queste le tappe di un viaggio intenso ed elegantissimo, un immaginario perduto che prende vita sul grande schermo e ci offre un nuovo classico senza tempo. Premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes, il film è il candidato della Polonia per la corsa agli Oscar e ha ottenuto il più alto numero di nomination agli EFA.

COLD WAR PAWEL PAWLIKOWSKI: LA STORIA DI WIKTOR E ZULA


Cold War è dedicato ai genitori di Pawel Pawlikowski, i cui nomi sono quelli dei protagonisti del film. I veri Wiktor e Zula sono morti nel 1989, appena prima della caduta del Muro di Berlino. Avevano trascorso i precedenti 40 anni insieme, prendendosi e lasciandosi, punendosi a vicenda, separandosi o rincorrendosi da una parte all’altra della Cortina di Ferro. “Erano tutte e due persone forti e meravigliose, ma come coppia un disastro totale”, ricorda Pawlikowski.

Sebbene per molti versi la coppia del film non somigli a quella reale, Pawlikowski ha meditato per quasi un decennio sul modo in cui raccontare la storia dei suoi genitori. Come rendere sullo schermo tutte le decisioni e i ripensamenti? Come trattare un periodo di tempo così lungo?

“La loro vita non ha avuto niente di palesemente romanzesco” racconta, e “nonostante io sia rimasto sempre molto vicino ai miei genitori – sono figlio unico – più pensavo a loro dopo la loro scomparsa, meno mi sembrava di capirli”. Nonostante le difficoltà, Pawel ha continuato a provare a dar forma al mistero del loro rapporto. “Ho vissuto a lungo e ho visto tante cose, ma la storia dei miei genitori mette in ombra tutte le altre. Sono stati i personaggi più interessanti che abbia mai incontrato”.

Alla fine, per poter scrivere il film, ha dovuto rinunciare a parlare direttamente di loro. I tratti in comune sono diventati più generici: “L’incompatibilità caratteriale, il non essere in grado di stare insieme e il desiderio reciproco quando però erano lontani una dall’altro; la vita difficile da esiliati, riuscire a rimanere se stessi in un diverso ambiente culturale; la difficoltà di vivere sotto un regime totalitario, di continuare a comportarsi in modo onesto nonostante le tentazioni”. Il risultato è una storia forte e commovente ispirata, come afferma Pawlikowski, “alla storia d’amore complicata e caotica dei miei genitori”.

A differenza della madre di Pawel – che fuggì di casa per diventare ballerina quando aveva 17 anni ma che proveniva da una famiglia della borghesia medio-alta – Zula proviene dai bassifondi di un’anonima cittadina di provincia. Si fa passare per contadina per poter entrare a far parte di un gruppo folcloristico, un modo per lei di sfuggire alla povertà. Nel film si lascia intendere che forse ha scontato una pena in prigione per aver ucciso il padre che abusava di lei.

Sa ballare e cantare, è sfrontata e affascinante, ce l’ha con il mondo intero e, quando diventa una star, capisce di essere arrivata dove voleva. “Per Zula il comunismo non è un problema” dice Pawlikowski. “Non ha nessun interesse a scappare in Occidente”.

Il Wiktor del film invece è cresciuto in un ambiente molto più colto e raffinato, ed è chiaramente un musicista di talento. “E’ calmo e posato, è un intellettuale di città inserito in un ambiente culturalmente elevato, e ha bisogno dell’energia di lei”, dice Pawlikowski. Ha immaginato che Wiktor fosse stato mandato a studiare musica a Parigi prima della guerra, con Nadia Boulanger come insegnante.

Poi, durante l’occupazione tedesca, che si fosse guadagnato da vivere suonando illegalmente nei caffè di Varsavia – come peraltro hanno fatto davvero i grandi compositori polacchi Lutosławski e Panufnik. Sebbene sia un pianista eccellente, con una formazione classica, Wiktor non ha però quello che ci vuole per diventare un grande compositore. E comunque la sua vera passione è il jazz.

Gli indizi sul suo passato sono rintracciabili nella musica. Nella scena del film in cui Wiktor suona una melodia al piano per Zula in modo che lei possa cantargli qualcosa, quella che si sente è I Loves You Porgy, dall’opera di George Gershwin Porgy and Bess. Per quanti la riconoscono si tratta di un chiaro segnale: Wiktor è stato in Europa occidentale.

“Dopo la guerra, con lo stabilirsi del regime stalinista in Polonia, Wiktor non sa che fare”, riflette Pawlikowski. Il jazz era vietato dallo stalinismo, come pure tutta la moderna musica formalista. Nella mente di Pawlikowski, Wiktor non è mai stato interessato alla musica folcloristica polacca, ma quando incontra Irena con il suo progetto sul folk, si rende conto che potrebbe trattarsi di una buona occasione per chi come lui non ha niente da fare.

Il suo desiderio di fuggire aumenta quando il gruppo folk comincia ad essere usato dal regime a fini politici, e quando scopre di essere spiato dai Servizi di sicurezza. La goccia che fa traboccare il vaso è quando Irena, con la quale ha anche avuto una breve relazione, viene licenziata per non aver rispettato le regole. Sa che non ci sarà mai alcuna libertà, musicale o di altro tipo, nella Repubblica popolare polacca, che sarà sempre trattato con sospetto e che i compromessi necessari a sopravvivere alla fine lo distruggeranno. L’unica soluzione è scappare ad Ovest.

COLD WAR PAWEL PAWLIKOWSKI: LA POLITICA


Sia che abbia aumentato o che abbia limitato le opportunità per i due protagonisti del film, la pressione esercitata dal comunismo va compresa bene, dato che fa costantemente da sfondo alla storia. Quando Zula ammette di aver fatto la spia su Wiktor, si capisce che questo tradimento, dal suo punto di vista, è un puro atto di sopravvivenza.

Pawlikowski si aspetta che nella Polonia di oggi ossessivamente impegnata a riesaminare e reinterpretare il suo passato, verrà attaccato per non aver sottolineato a sufficienza gli orrori del comunismo, per non aver “mostrato abbastanza il terrore e le sofferenze causati dal regime comunista”.

Ma la sensazione di minaccia nel film è ancora più palpabile per il fatto di essere poco esplicita, e il suo scopo è comunque sempre quello di mostrare l’impatto psicologico della politica sui personaggi. Wiktor, per esempio, diventa meno risoluto quando si trova in esilio? È una cosa alla quale Pawlikowski ha certamente pensato di suo padre, un medico, che era sempre stato un uomo coraggioso e schietto quando era a casa, ma in Occidente sembrava spaventato anche quando doveva incontrare un funzionario di banca.

Quando il Ministro della Cultura chiede alla troupe di aggiungere al repertorio delle canzoni sulla riforma agraria e sulla pace mondiale, Irena obietta, ma l’ambizioso Kaczmarek la scavalca e in poco tempo il gruppo si ritrova a cantare le odi a Stalin. Lo scopo di questo breve scambio manipolatorio è quello di mostrare Wiktor sotto pressione – non dice niente, e questo segna l’inizio del percorso di un uomo che si lascia andare annullando se stesso.

Per gli spettatori polacchi alcune similitudini tra il regime mostrato nel film e l’attuale governo al potere potrebbero sembrare evidenti: l’essere anti-occidentali, la retorica nazionalista; la propaganda primitiva nei media di stato; il clima di paura, di crisi e di risentimento creati ad arte per incoraggiare l’unione e il consenso della gente sana e semplice contro le élite decadenti e imbroglione – per la gente che ha vissuto sotto il comunismo tutto questo ha un’aria sinistramente familiare. Anche il personaggio di Kaczmarek, livoroso provinciale in carriera che parla solo per fare carriera, potrebbe sembrare familiare al pubblico polacco. Ma Cold War non parla di politica. Quel momento storico rappresenta solo il contesto che aiuta a drammatizzare elementi più universali.

COLD WAR PAWEL PAWLIKOWSKI: 1949-1964, LE LACUNE NELLA STORIA


Cold War si svolge lungo un arco di 15 anni e, sebbene segua uno svolgimento sequenziale, ci sono delle ellissi. Alcuni anni vengono omessi, e il pubblico, guidato da blackout intermittenti e da cartelli che indicano il tempo e il luogo, deve riempire gli spazi lasciati vuoti.

Pawlikowski spiega che ha scelto di fare così “per non dover raccontare la storia con brutte scene o brutti dialoghi. Spesso i film, specialmente quelli biografici, sono appesantiti dal bisogno di fornire informazioni e spiegazioni; e la narrazione è spesso ridotta al rapporto causa-effetto. Ma nella vita ci sono mille ragioni nascoste ed effetti imprevisti – così tanta ambiguità e tanto mistero che è difficile costringerli nel binomio convenzionale di causa ed effetto. È preferibile mostrare solo i momenti forti e significativi della storia e lasciare che sia il pubblico a colmare i vuoti con la propria immaginazione e la propria esperienza di vita. Mi piace distillare le storie e tirarne fuori i momenti forti, metterli uno accanto all’altro e lasciare che il pubblico li viva dando un senso all’intera vicenda, senza sentirsi manipolato”.

L’effetto complessivo è che l’aspetto casuale dei destini che si incrociano dei due amanti – tutto il non detto e tutte le incomprensioni – si riflette nella struttura stessa del film, che lascia che sia il pubblico a mettere insieme i pezzi, proprio come devono fare i due protagonisti.

COLD WAR PAWEL PAWLIKOWSKI: GLI AMBIENTI, EST CONTRO OVEST


Polonia, 1949: quando inizia il film, la Polonia sta ancora cercando con difficoltà di uscire dal periodo bellico. Nelle campagne non c’è elettricità. Varsavia è un cumulo di macerie. Wiktor e Irena, come una coppia di etnografi musicali, viaggiano nelle campagne per cercare ciò che resta del folclore originario. Quello che ne viene fuori, la compagnia Mazurek, è un successo e ben presto viene cooptato dall’apparato politico.

Berlino Est, 1952: la compagnia Mazurek, che ora canta un’ode a Stalin come richiesto dal Ministro della Cultura polacco, viene invitato ad esibirsi al Festival Internazionale della Gioventù di Berlino Est. Per Wiktor è arrivato il momento che stava aspettando, la sua sola e unica possibilità di fuggire. Allora Berlino Est e Berlino Ovest non erano ancora divise dal Muro. Era ancora, ufficialmente, una città aperta, ma se eri dell’Est e venivi scoperto dai russi, andavi in prigione. Quando Wiktor passa a Berlino Ovest sa il rischio che corre. Sa anche che non potrà più tornare indietro e che la sua vita cambierà per sempre. Anche Zula lo sa… e non si presenta all’appuntamento. Wiktor passa nel blocco occidentale da solo.

Parigi, 1954: Wiktor suona il piano in un jazz club. Zula compare nel bar dove lui la sta aspettando. La sua presenza a Parigi non viene spiegata, ma il loro dialogo impacciato, esitante, implica che la compagnia Mazurek si trova lì per un’esibizione, la prima fuori dal blocco sovietico. Sono, inutile dirlo, sotto la stretta sorveglianza dei Servizi di sicurezza polacchi, e questo è il motivo per cui Zula, che si è defilata senza essere vista, può restare solo 5 minuti prima che la sua assenza venga notata. (Peraltro questa parte è ispirata ad un avvenimento reale: durante la prima uscita dei Mazowsze nel blocco occidentale, a Parigi nel 1954, uno dei membri riuscì a sfuggire ai sorveglianti e a disertare). Due anni dopo la loro separazione, i due ex amanti parlano sentendosi a disagio, accennando appena alla ragione per cui lei non lo aveva seguito a Berlino. Poi lei se ne va.

Spalato, Yugoslavia, 1955: la troupe si sta esibendo nella Repubblica socialista di Yugoslavia. Tecnicamente si tratta di un Paese non allineato, indipendente dal blocco sovietico, per cui relativamente sicuro per Wiktor – che ora risiede in Francia e viaggia con un passaporto Nansen da apolide – e che vi si reca per vedere Zula. Lei resta di sasso quando lo scorge nel pubblico durante la performance. Prima che si incontrino però lui viene prelevato durante l’intervallo e portato via dagli uomini della sicurezza yugoslava, avvertiti da Kaczmarek, che ne ha richiesto l’arresto e l’estradizione in Polonia.

Fortunatamente i locali servizi segreti non vogliono creare nessun incidente diplomatico. Vogliono sbarazzarsi dell’apolide polacco e lo mettono sul primo treno diretto fuori dalla Yugoslavia.

Parigi, 1957: Zula arriva a Parigi per cercare Wiktor. Ora è sposata ad un italiano. Dopo il 1956 se riuscivi a sposare un occidentale, a meno che non avessi segreti di Stato da divulgare, potevi lasciare la Polonia legalmente. Per cui non è scappata.

Polonia, 1959: dopo la fine della loro relazione a Parigi – dove c’erano tutte le condizioni perché fossero felici – Zula rientra in patria per riprendere la sua carriera nello show business. Quando Wiktor la segue in Polonia, sa bene cosa accadrà. Sotto questo aspetto, capire quali siano i rischi è decisivo per il dramma romantico: se lui sa che verrà arrestato e probabilmente condannato ai lavori forzati, perché la va a cercare? Esattamente questo serve a far capire quanto lui abbia bisogno di lei.

Polonia, 1964: Zula, alcolizzata e con una carriera ormai finita, madre di un bambino, ha sposato Kaczmarek per un tacito accordo finalizzato a far uscire Wiktor di prigione. Kaczmarek è adesso un pezzo grosso al Ministero della Cultura e ha aiutato la moglie a fare una carriera come scadente pop star di regime. Wiktor, intanto, è finito in una colonia penale, a lavorare in una cava. Gli hanno mutilato la mano destra e non può più suonare il pianoforte. I due decidono di uscire dalla situazione in cui si trovano, e si incontrano presso le rovine di una chiesa ortodossa, il luogo in cui la storia aveva avuto inizio.

Tutto quello che non viene detto esplicitamente su amore e perdita – e su quello che separa la coppia – si esprime nella musica. L’amore è amore, punto e basta. Cold War procede su un binario di tale romanticismo da non lasciare alternative.

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