Gucci Uomo autunno inverno 2020: la libertà di autodeterminarsi, la sfilata
Gucci Uomo autunno inverno 2020 – Sulle passerelle di Milano Moda Uomo ha sfilato la collezione autunno inverno 2020 di Gucci. Alessandro Michele, direttore creativo del brand, indaga il mondo maschile.
Special guest del fashion show: Jared Leto, Bruce Gilden, Mark Ronson, Maurizio Cattelan, Alessandro Borghi, Ghali, Achille Lauro, Anderson .Paak, Tyler, The Creator, Kelvin Harrison Jr., Richard Hell, Arthue Jafa, Antwaun Sargent, Yves Tumor, Adam Bainbridge, Earl Cave, Phoebe Collings-James, Little Simz, Massimo Bottura, Milovan Farronato, Leonardo Fioravanti, Tiago Iorc, Alexander (Sasha) Gudkov, Kai, Miyavi, Zen, Diet Prada, Willy Ndatira, Sean Murphy, Leo Mandella, Pam Boy, Susie Lau, Gogoboi, Filip Custic, Jean Jacques Ndjoli, Bryan Boy, Tamu McPherson, Martin Larsson “Rekkles”, Zdravetz Galabov “Hylissang”, Tim Lipovsek “Nemesis”, Gabriel Rau “Bwipo”, Oskar Boderek “Selfmade” e molti altri.
In una società patriarcale, l’identità di genere maschile è spesso forgiata da stereotipi che presentano caratteri di violenta tossicità. Sin dalla nascita, ai bambini viene imposto un modello di mascolinità dominante, vincente, oppressiva.
Atteggiamenti, linguaggi e azioni finiscono col conformarsi progressivamente a un ideale di virilità machista che espelle la vulnerabilità e la dipendenza. Ogni possibile richiamo alla femminilità viene aggressivamente bandito perché vissuto come minaccia per l’affermazione completa di un prototipo maschile che non ammette cedimenti.
Non c’è niente di naturale in questa deriva. Il modello è socialmente e culturalmente costruito in modo tale da rigettare tutto ciò che non si uniformi a esso. Con implicazioni molto serie. Questa mascolinità tossica, infatti, finisce col nutrire prevaricazione, violenza e sessismo. Non solo.
Condanna gli stessi uomini a uniformarsi a standard di virilità fallocratica pur di essere socialmente accettati. In altri termini, la mascolinità tossica genera, allo stesso tempo, carnefici e vittime. Appare dunque necessario suggerire una diserzione da schemi e uniformi patriarcali.
Decostruire l’idea di mascolinità così come si è affermata storicamente. Aprire una gabbia. Lanciare un canto. È giunto il momento di celebrare un uomo libero di autodeterminarsi senza costrizioni sociali, senza sanzioni autoritarie, senza stereotipi soffocanti.
Un uomo capace di ricontattare il proprio nucleo di fragilità, il tremore e la tenerezza. Un uomo che s’inginocchia al cospetto della resa, che omaggia la paura e le sue spine. Un uomo sazio di dolcezza e cura. Un uomo inclinato sugli altri, che fa brace del mito dell’autosufficienza. Un uomo che è anche sorella, madre, sposa.
Un uomo gonfio di disordine, che nomina l’accensione del sangue e lo sgomento della nostalgia. Un uomo che complica la tessitura delle proprie affettività, aprendosi a relazioni non gerarchiche. Un uomo bambino, capace di capriole spavalde e giocose, che avvampa di meraviglia quando il mondo si fa nuovo. Un uomo gravido di catene spezzate.
Non si tratta di proporre un nuovo modello normativo, piuttosto slegare ciò che era costretto. Rompere un ordine simbolico ormai inservibile. Nutrire uno spazio di possibilità in cui il maschile possa affrancarsi dalla sua tossicità, per riappropriarsi liberamente di ciò che gli è stato sottratto. E, nel fare questo, portare indietro le lancette del tempo, con l’obiettivo di imparare a disimparare.
credit image by Press Office – photo by Getty for Gucci: Anton Gottlob, Dan Lecca e Kevin Tachman