Il tempo che ci vuole Venezia 2024: un viaggio intimo tra cinema e vita, il nuovo film di Francesca Comencini
Francesca Comencini presenta Il tempo che ci vuole, il suo nuovo film fuori concorso a Venezia 2024 che esplora il complesso rapporto tra un padre e una figlia. Attraverso il ricordo e l’amore per il cinema, la storia riflette sulle sfide della crescita, le fragilità della vita e il delicato equilibrio tra errore e redenzione. Con Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano, la pellicola racconta il dolore, la distanza e la riconciliazione, conducendo lo spettatore in un viaggio intimo e personale.
Il tempo che ci vuole Venezia 2024: il trailer ufficiale
Il nuovo film di Francesca Comencini, Il tempo che ci vuole, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è una riflessione toccante e personale sul rapporto tra un padre e una figlia, intrecciato con la passione per il cinema che caratterizza la vita di entrambi. La regista, attraverso la propria esperienza e i ricordi, offre un racconto profondo e universale, in cui il tempo e gli errori assumono un ruolo centrale nel processo di crescita e riscoperta.
La storia segue un padre (interpretato da Fabrizio Gifuni) e sua figlia (Romana Maggiora Vergano), e inizia nelle stanze dell’infanzia di lei, una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione. Il padre, regista di cinema, lavora a un progetto su Pinocchio, mentre la figlia esplora il mondo dei set, assorbendo la magia e l’umanità che ne derivano. In questi momenti, si crea tra loro un legame speciale, fatto di silenzi, sguardi e parole che portano rispetto e comprensione. È un incantesimo che, però, col tempo inizia a spezzarsi.
La bambina cresce e con l’adolescenza arriva anche la distanza. La percezione di non essere all’altezza del padre e delle sue aspettative diventa un peso insostenibile per la ragazza. La frattura con l’infanzia è irreversibile, e lei comincia a scivolare nel mondo della droga, cercando rifugio dal dolore che non riesce ad affrontare. Il padre, inizialmente incapace di comprendere l’abisso in cui è caduta, decide di non ignorare più il problema. In un momento di rara intimità e profondità, la porta con sé a Parigi, cercando di salvarla con la forza della sua presenza più che con le parole.
Il film non è solo un viaggio interiore tra padre e figlia, ma anche una riflessione sul ruolo del cinema nella vita di entrambe le generazioni.
Come racconta Francesca Comencini: «Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre emersi dai ricordi e rimasti vividi e intatti nella mia mente. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Intorno gli anni delle stragi, delle rivoluzioni sociali, della comparsa delle droghe, che stravolsero la vita di una intera generazione».
Prodotto da Kavac Film in collaborazione con Rai Cinema, Il tempo che ci Vuole è un film che tocca corde emotive profonde, unendo la maestria del racconto cinematografico alla forza della vita reale. L’uscita nelle sale italiane è prevista per il 26 settembre, distribuito da 01 Distribution.
“Questo film è il racconto molto personale di momenti con mio padre rimasti vividi e intatti nella mia mente in un susseguirsi di faccia a faccia. Un racconto personale che credo però trovi la giusta distanza nel fatto che in mezzo al padre e alla figlia c’è sempre il cinema come passione, scelta di vita, modo di stare al mondo. Il cinema in mezzo alla vita è come una rete che sottende il racconto dei loro scambi, apre a una terza angolazione nella relazione tra i due, crea lo spazio dell’immaginazione. “Con il cinema” dice il padre “si può scappare. Con l’immaginazione.” È una storia di trasmissione, anche, attraverso il cinema, di un modo di essere nella vita.”
“Le immagini partono dai ricordi e come i ricordi hanno una amplificazione di alcuni segni salienti e la cancellazione di altri. Immagini scarne, in cui non c’è quasi niente tranne loro due e in cui il segno che è presente ha sempre qualcosa di esagerato: se qualcosa è grande è molto grande, se è lontano è molto lontano, se c’è un raggio di luce è molto luminoso, se qualcosa è vicino è molto vicino.
Questo per quel che riguarda le immagini della vita. Astratte, precise e amplificate nelle loro due presenze in mezzo all’assenza di tutto resto. Per quel che riguarda i set invece molta pienezza, confusione, fretta, molta gente, molto chiasso e anche qui tutto amplificato, in questa eccitazione della vita collettiva che sono i set, qui quelli di Pinocchio, sempre creati in mezzo al nulla, in terreni brulli di campagna.
Dopo tanti anni passati a fare il suo stesso lavoro cercando di essere diversa da lui, ho voluto raccontare quanto ogni cosa che sono la devo a lui: ho voluto rendere omaggio a mio padre, al suo modo di fare cinema, al suo modo di essere, all’importanza che la sua opera e il suo impegno hanno avuto per il nostro cinema, all’importanza che la sua persona ha avuto per me. Forse, mi sono detta, forse ora sono abbastanza anziana ne sono capace, forse ora sarò all’altezza di questo racconto. Forse, ora, è arrivato il momento di dirgli grazie” conclude Francesca Comencini.
credit image by Press Office – photo by 01 Distribution