L’Ombra di Caravaggio film recensione: genio e sregolatezza, lo speciale costumi di scena
L’Ombra di Caravaggio film recensione – Scritto, diretto e interpretato da Michele Placido che – dopo cinquant’anni di carriera e quattro di lavoro sul progetto – firma il suo quattordicesimo film da regista, L’Ombra di Caravaggio è una co-produzione italo-francese siglata da Goldenart Production con Rai Cinema e per la Francia Charlot, Le Pacte e Mact Production.
L’Ombra di Caravaggio film recensione: il trailer ufficiale
Il film esplora l’intricata e avventurosa esistenza di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, già una popstar al suo tempo, raccontato nelle sue profonde contraddizioni e nelle oscurità del suo impenetrabile tormento. Ribelle e inquieto, devoto e scandaloso, indipendente e trasgressivo, il Caravaggio che Placido mette in scena è un’artista maledetto dal talento assoluto, ma soprattutto una rockstar ante litteram, un rebel without a cause costretto ad affrontare gli inquietanti risvolti di una vita spericolata – con le sue donne e i suoi demoni – in cui genio e sregolatezza convivono per regalarci un personaggio fuori dal tempo e un’icona affascinante e universale.
Nel cast del film Riccardo Scamarcio che interpreta Caravaggio, Louis Garrel è la misteriosa Ombra, Isabelle Huppert interpreta la marchesa Costanza Colonna e Micaela Ramazzotti veste i panni di Lena. Al loro fianco Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Alessandro Haber, Moni Ovadia, Lorenzo Lavia, Brenno Placido, lo stesso Michele Placido e Tedua.
La trama
Italia 1600. Michelangelo Merisi è un artista geniale e ribelle nei confronti delle regole dettate dal Concilio di Trento che tracciava le coordinate esatte nella rappresentazione dell’arte sacra. Dopo aver appreso che Caravaggio usava nei suoi dipinti sacri prostitute, ladri e vagabondi, Papa Paolo V decide di commissionare a un agente segreto del Vaticano una vera e propria indagine, per decidere se concedere la grazia che il pittore chiedeva dopo la sentenza di condanna a morte per aver ucciso in duello un suo rivale in amore. Così l’Ombra, questo il nome dell’investigatore, avvia le sue attività di inchiesta e spionaggio per indagare sul pittore che – con la sua vita e con la sua arte – affascina, sconvolge, sovverte. Un’Ombra che avrà nelle sue mani potere assoluto, di vita o di morte, sul destino di un genio.
Note di regia: ce ne parla Michele Placido
Come racconta Michele Placido: “L’Ombra di Caravaggio immagina Caravaggio come un artista pop, che vive la vita vorticosa che vivrebbe oggi a New York o a Londra. E per questo è venuto a Roma: il centro del mondo, un universo di immigrati, prostitute, preti, pellegrini, cardinali, principi e malviventi. Un pianeta di grandi ricchezze e grandissime povertà, poteri forti e immense servitù, denaro a fiumi nei palazzi e un popolo che muore di fame nei vicoli. Qui, la Chiesa controriformista chiede statue, dipinti, cupole, colonnati, per celebrare la propria opulenza in un gigantesco cantiere delle meraviglie. Qui, in pochi anni, Caravaggio diventa una star, un personaggio di culto per i giovani artisti e per i ricchi e potenti collezionisti. Il suo più grande sostenitore è il Cardinale del Monte un grande mecenate e collezionista d’arte.
Caravaggio è vicino all’ala pauperista della chiesa che cerca un ritorno ai valori evangelici. Lo studio dove realizza i suoi capolavori è frequentato da bottegai, prostitute, nobili e prelati grandi collezionisti d’arte. Uno studio dell’epoca, ma che potrebbe essere un laboratorio contemporaneo in cui regna un artista proiettato nel futuro, un uomo ossessionato dalla voglia di raccontare attraverso la sua pittura una visione religiosa completamente nuova e rivoluzionaria dove il racconto delle storie bibliche è raffigurato dall’uomo preso dalla strada, ovvero il mendicante, la prostituta e il ladro, in una sorta di neorealismo ante litteram.
Lo vediamo all’opera: i pantaloni aderenti come un paio di jeans, le scarpe pesanti infangate, una camicia sporca di ogni vernice. E lui stesso è una tela: colore incrostato sulle mani, sotto le unghie, sulle braccia, nella barba, nei capelli. Il Caravaggio – dicono in molti – quando è preso dalla sua furia si chiude in casa senza mangiare e senza dormire, non vede nessuno, non ascolta nessuno.
Ci sono poi le donne della sua vita: una, quella che ha contato di più e che lo ha sempre protetto fin dall’infanzia, è la marchesa Costanza Colonna. L’altra è una delle prostitute più famose di Roma, si chiama Lena e divenne una delle sue modelle preferite, rappresentata spesso come Maria, la madre di Gesù. Una terza donna è Anna, quella che diventerà il volto di uno dei suoi più grandi capolavori, “La morte della Vergine” conservato tutt’ora al Museo del Louvre a Parigi.
Poi, anzi prima di ogni altra cosa, c’è il Potere occulto – l’Ombra – quello che controlla e decide della vita e della morte degli uomini, quello che lo tiene silenziosamente d’occhio. Questa storia inizia proprio nel momento in cui il Pontefice – espressione massima del potere sulla terra – chiede a un fidato uomo dell’Entità (i servizi segreti della Santa Sede) di condurre un’investigazione su Caravaggio, per decidere se concedere o negare quella Grazia che il pittore chiede da tempo. Dal giorno in cui s’è reso responsabile dell’omicidio di un uomo, dal giorno in cui sulla sua testa pende una condanna a morte.
Mentre il Papa dà l’incarico al suo uomo, Caravaggio è a Napoli dove dipinge – dopo essere stato brutalmente aggredito e quasi ucciso – un ultimo capolavoro, che spera di poter portare a Roma e donare al Pontefice in segno di ringraziamento. Alla fine, illuso di tornare a Roma, dove Costanza Colonna – così gli hanno fatto credere – è riuscita ad ottenere il perdono, sale su un’imbarcazione diretta verso la costa laziale. Ma lo fanno scendere presso un presidio militare, dove ad attenderlo c’è proprio l’Ombra, ormai convinto della pericolosità di Caravaggio – come uomo e come artista. In quel presidio, dopo un ultimo faccia a faccia, l’Ombra decreta la colpevolezza del pittore.
Caravaggio capisce che quell’uomo non intende farlo tornare a Roma, ma ottenere da lui una vera e propria abiura: che smetta di dipingere quelle sue opere scandalose ed eretiche. La verità è che l’Ombra è al servizio di quelle forze integraliste che stanno per condannare Galileo e eliminare ogni forma di dissenso. Caravaggio prende la decisione più drammatica: non rinuncia alla sua libertà.”
L’Ombra di Caravaggio film recensione: lo speciale costumi di scena
La grande avventura per la composizione dei personaggi è iniziata con grande anticipo rispetto alle riprese del film. Nella visione del regista era centrale l’idea di riesumare la verità di un’epoca fuori dai canoni dell’accademia e priva di patinature retoriche: il film doveva restituire tutta la dimensione terrena – umana, dolorosa e carnale – del pittore e del suo tempo, nel segno della caravaggesca, e rivoluzionaria, fotografia del reale.
Il mondo di Caravaggio era un universo variegato che comprendeva la nobiltà e il clero ma soprattutto la suburra romana fatta di popolani, prostitute e ragazzi di strada, categorie di cui sono scarse le reference pittoriche poiché sono classi sociali che non avevano ancora pieno diritto di cittadinanza nell’arte, almeno prima che Caravaggio ne sovvertisse i canoni.
Il costumista Carlo Poggioli, grande appassionato ed esperto del pittore sin dai tempi dell’Accademia, ribadisce come la visione di Placido, da anni immerso nel progetto, fosse anche in questo caso molto chiara: il regista voleva un approccio nella costruzione dei personaggi in linea con le modalità della creazione artistica del Caravaggio che, come un regista, metteva in scena i suoi modelli per coglierne istanti di verità e riprodurli sulla tela senza l’intermediazione del disegno.
Immediatezza, verità, autenticità frutto di un’elaborata regia creativa. Il lavoro sui personaggi è quindi partito dallo studio delle reference storiche, utilizzate come base per la rielaborazione creativa da parte del costumista con la collaborazione dell’hair-stylist Desirée Corridoni e del make-up artist Luigi Rocchetti.
Per l’immagine del protagonista si è deciso per esempio di tralasciare la classica iconografia che ritrae il viso del pittore con i baffi e la mosca e di mantenere invece la barba. I capelli sono sempre sporchi e scarmigliati, con un taglio un po’ anarchico, a rappresentare il suo genio da artista maledetto e da uomo che viveva in mezzo al popolo, un po’ sporco e sudato, spesso stanco, sovversivo anche nell’aspetto. Per i costumi ci si è ispirati agli abiti che Caravaggio amava portare, certi velluti e certi colori ricorrenti, sempre un po’ consunti e logori, proprio come il pittore li indossava.
In alcuni casi Poggioli ha dovuto prevedere un doppio costume: vista la quantità di duelli e contrasti che il Merisi ha affrontato – e che Scamarcio ha voluto girare senza stunt – era frequente che gli abiti fossero sporchi di sangue. Poggioli ha inoltre sottolineato il legame fra i costumi e i cambiamenti nell’esistenza del pittore, e quindi abiti molto semplici e poveri nella fase della sua vita in cui viveva per strada e invece un guardaroba un po’ più vario e colorato – abiti più eleganti quasi nobiliari ma sempre logori e consunti, plausibile dono del Cardinal Dal Monte – quando la sua fama/fortuna artistica comincia a crescere.
Una trasformazione del look che naturalmente preserva l’identità e la coerenza del personaggio in tutte le scene. Anche per l’immagine Costanza Colonna si sono rivelate molto utili le fonti storiche e in particolare una corrispondenza, molto informale per il tempo, che la nobile intratteneva con un amico. Una donna estremamente moderna e ambivalente dotata di profonda devozione e allo stesso tempo di grande sensualità. E quindi abiti scuri abiti scuri e castigati ma scollature e colore nelle situazioni più mondane.
E poi L’Ombra, l’unico personaggio di fantasia del film, frutto della creazione degli sceneggiatori – che infatti in sceneggiatura non è dotato di nome proprio – ma con una plausibilità storica riconducibile all’Inquisizione. Una figura losca e inquietante, impenetrabile ed enigmatico, una spia legata al clero da una parte e dall’altra ad un ambiente vagamente militare: la quintessenza dell’ambiguità nella visione del regista. I suoi abiti sono quindi sempre scuri e cupi, nello stile degli inquisitori ma indossa anche mantelli di ispirazione militare. E poi ombre sul viso ad enfatizzarne l’oscurità e i capelli corti a conferire durezza.
Lena è invece un personaggio realmente esistito e ampiamente documentato: una prostituta molto vicina a Caravaggio, una donna dolente con una sua stoicità, un personaggio molto autentico con un look abiti e capelli che ne enfatizzano la sofferenza e soprattutto l’appartenenza al popolo. La grande quantità di abiti legati al mondo popolano hanno subito un accurato processo di invecchiamento applicato sia gli abiti di sartoria che ai numerosissimi costumi creati ex novo – soltanto per la scena del Carnevale ne sono stati realizzati oltre 250 oltre a 200 maschere per tre mesi di lavoro. Anche su questo aspetto Placido era molto rigoroso: la realtà del tempo era molto sporca e i personaggi dovevano restituire questa verità e i tessuti e le stoffe dovevano essere autenticamente vissuti. E quindi ogni costume dei numerosi personaggi e comparse riconducibili al popolo doveva essere strappato, tinto, ritinto, sporcato. Alla ricerca dell’imperfezione che restituisse verità.
Da vedere perché
Il film che Placido aveva in mente era un racconto cinematografico nella cifra di Caravaggio che restituisse tutta l’autenticità dell’artista con i suoi vizi e le sue virtù nella sua profonda e viscerale umanità e allo stesso tempo tutta la verità della sua epoca, con i suoi odori e sapori, lontano da ogni patina scolastica o accademica.
La rivoluzione di un pittore terribilmente scomodo che in una Roma piena di spie filofrancesi o filospagnole raccoglieva per strada i suoi compagni di viaggio – ladri, prostitute, vagabondi – per farne pasolianianamente soggetti e modelli dei suoi quadri, trasfigurati in santi e madonne e in icone immortali.
La visione del regista mette così a fuoco l’impenetrabile oscurità di un genio capace di illuminare il mondo con la sua arte e un individuo in lacerante conflitto con se stesso. Un racconto cinematografico in linea con l’urgenza di verità del pittore che durante un processo aveva apertamente e pubblicamente dichiarato : “Io cerco il vero”.
credit image by Press Office – photo by Luisa Carcavale