Moda ecosostenibile primavera estate 2020: il minimalismo primitivo di Gilberto Calzolari
Moda ecosostenibile primavera estate 2020 – Gilberto Calzolari sfila sulle passerelle di Milano Moda Donna con la collezione primavera estate 2020. Lo sciopero globale del 15 marzo 2019, in cui milioni di individui in tutto il mondo si sono spontaneamente riversati nelle piazze e nella strade di ogni città, facendo seguito all’appello di una coraggiosa ragazzina svedese, ha segnato il punto di non ritorno per una società che ha deciso di mettere fine all’abuso che stiamo perpetrando nei confronti del nostro pianeta.
Da questi presupposti deve ripartire una proposta di moda ecosostenibile, che non nasconde le fratture della realtà contemporanea, ma le esibisce come scalpi e come vere e proprie armi per intraprendere una battaglia dove è in gioco il nostro futuro. Ecco quindi l’idea di una donna nomade e guerriera, feroce nel suo incedere in un deserto post-tecnologico: un’amazzone che non ha perso gli orpelli romantici, ma anzi ne ha fatto un armamentario simbolico e funzionale al proprio scopo. Una collezione da battaglia, che non rinuncia tuttavia alla sua vocazione profondamente femminile.
La silhouette si muove tra sperimentazione, grafismi e un minimalismo primitivo a stretto contratto con la nuda terra, in cui capi dal vago ricordo safari realizzati in tela di cotone stretch nei toni beige della sabbia si alternano a uniformi militari, arricchite da tasche multiuso rivisitate in chiave glamour con preziosi tessuti jacquard camouflage, sui quali le mostrine militari sono nastri ornamentali e svolazzanti di cotone grezzo. Parimenti, in questa battaglia in prima linea per il rispetto del pianeta e delle sue risorse, la tuta anni 80’ gialla e nera si trasforma in una divisa da combattimento, tecnica e funzionale.
In questo deserto fisico e metafisico, di sabbia e detriti industriali, capi emblematici – e al tempo stesso opposti tra loro – sono da un lato l’abito tribale in “tessuto di sughero” ecologico, ricavato da sottilissimi fogli di sughero naturale accoppiato al cotone organico GOTS certificato, con frange arricchite di cristalli Swarovski senza piombo; e dall’altro i capi ultra high-tech realizzati con l’upcycling di airbag scoppiati, nati grazie a una partnership con Volvo Car Italia. Ma la dicotomia tra tecnologico e tribale è evidente anche nelle cinture: alcune in tessuto, ad avvolgere la figura in maniera profondamente femminile, altre ricavate dalle cinture di sicurezza di automobili smantellate.
E ancora, pezzi quasi monastici nella loro semplicità sono solcati da profondi spacchi laterali e frontali, o da sensuali scollature a “V”; abiti strutturati in organza “nude” si contrappongono a stratificate gonne etniche con pannelli plissè in organza nera, mentre ampie gonne asimmetriche volteggiano attorno al corpo come stendardi da guerra.
I materiali vanno dal twill di cotone organico stampato al raso derivato da poliestere riciclato, dal nuovissimo canvas di cotone biodegradabile al pizzo macramè optical che ricorda i copertoni di pneumatici: chiaro riferimento alla più grande discarica di pneumatici al mondo, nel deserto del Kuwait.
La palette di colori parte dai toni sabbia e ecrù per poi accendersi all’improvviso di rosso nell’abito plissè, e di giallo-neon nella gonna con inserti catarifrangenti, come a disseminare segnali di allarme, per poi lasciare il passo al nero lucido dei capi in vernice a taglio vivo e al verde petrolio del cotone tecnico; colori che rappresentano l’inquinamento industriale che contamina le preziose falde acquifere, nere come la pece ed intrise di liquami petroliferi, fino all’apparizione di stampe a macchia di petrolio su organza increspata per gli abiti leggeri.
Una collezione primavera estate 2020 militante, dove, a sorpresa, l’elemento naturale è quasi del tutto assente, ad eccezione del grafismo bianco e nero delle palme, come riprodotte su una cartolina sbiadita, quasi un’oasi nel deserto, il miraggio di un mondo estinto. Del resto, la collezione affronta senza mezzi termini il tema sempre più attuale e minaccioso della desertificazione del nostro pianeta.
Come in tutte le collezioni Gilberto Calzolari, non mancano riferimenti cinematografici. In questo caso “Dune”, il film cult di fantascienza del visionario David Lynch, ma anche l’immaginario post-atomico di “Mad Max”: distese sconfinate di sabbia e detriti in uno scenario steampunk, monito sempre più attuale di una società vittima del suo stesso progresso tecnologico. Mai come oggi ci rendiamo conto che il nostro pianeta è in pericolo: chissà che questa consapevolezza non possa indicarci una nuova strada.