Non sposate le mie figlie 2: torna la commedia francese campione d’incassi
Non sposate le mie figlie 2 – Dopo il grande successo di Non sposate le mie figlie!, fenomeno cinematografico con oltre 150 milioni di euro incassati in tutto il mondo, tornano nelle sale italiane i coniugi Verneuil alle prese con una nuova crisi familiare in Non sposate le mie figlie 2.
La regia è di Philippe de Chauveron con Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan, Medi Sadoun, Frédéric Chau, Noom Diawara, Frédérique Bel, Julia Piaton, Emilie Caen, Elodie Fontan, Pascal Nzonzi, Salimata Kamate, Tatiana Rojo e Claudia Tagbo.
Claude e Marie sembrano ormai essersi rassegnati al matrimonio delle loro adorate quattro figlie con uomini di origini e culture molto distanti dalla loro: Rachid, musulmano di origini algerine, Chao, ateo e figlio di cinesi, l’ebreo David e il senegalese Charles.
Ma la loro tranquillità familiare viene messa ancora una volta a dura prova quando scoprono che i loro generi hanno deciso di lasciare la Francia con mogli e figli in cerca di fortuna all’estero. Come se non bastasse, atterrano in Francia anche i consuoceri Koffi per il matrimonio della loro unica figlia femmina.
Incapaci di immaginare la loro famiglia lontana e di non vedere crescere i propri nipoti, Claude e Marie sono pronti a tutto pur di trattenerli e dimostrare loro che la Francia è il posto migliore in cui possano vivere.
Non sposate le mie figlie 2: intervista a Philippe de Chauveron
Come ha vissuto l’enorme successo di “Non sposate le mie figlie”?
“È stata veramente una grande sorpresa. Ero certo che l’argomento sarebbe piaciuto al pubblico, i segnali erano positivi, ma non mi sarei mai aspettato un tale successo. Sono rimasto inoltre alquanto sorpreso che sia stato molto apprezzato anche all’estero. Le commedie francesi non sono sempre facili da esportare, e invece ha fatto il giro del mondo. È prova che l’umorismo, se basato su dei temi universali, è uguale in tutto il mondo.”
Come è nata l’idea delle quattro coppie di giovani che desiderano trasferirsi all’estero?
“Per ritrovare la struttura del primo film, nel quale le quattro figlie sposano simultaneamente quattro ragazzi stranieri, ho pensato che sarebbe stato interessante fare vivere alle quattro coppie la stessa avventura. In quel periodo eravamo in piena campagna presidenziale e percepivo chiaramente attorno a me il timore degli estremismi. Sentivo persone dire che se ne sarebbero andate dalla Francia in caso di vittoria di un certo partito, mentre molti cittadini appartenenti a minoranze etniche si lamentavano della discriminazione di cui erano vittime.”
All’uscita del primo film ha dichiarato che non era stata sua intenzione fare un film di denuncia, ma molti l’hanno considerato tale. Se ne è compiaciuto oppure ne è stato sorpreso o infastidito?
“Le persone hanno letto nel mio film tutta una serie di messaggi diversi, mentre la mia sola intenzione, quando l’ho scritto, è stata quella di far divertire il pubblico. Mi diverte fare dell’ironia su tutti gli argomenti possibili e non apprezzo che alla mia opera vengano dati significati diversi. Se proprio deve esserci un messaggio sarebbe che viviamo tutti nello stesso paese, tanto vale fare in modo che tutto vada per il meglio e che ciascuno di noi possa essere felice!”
Per la sceneggiatura si è nuovamente ispirato alle persone che la circondano, oppure ai protagonisti del film?
“Sebbene io tragga sempre ispirazione da quello che vedo e che leggo, e da quanto succede nel mondo, la principale fonte di ispirazione è stato il primo film. Volevo far affrontare ai miei personaggi delle nuove situazioni complicate. Conosco bene i miei attori, hanno un grande senso dell’umorismo e sono pieni di inventiva, quindi ho scritto pensando al mondo in cui avrebbero potuto recitare e parlare. E siccome la maggior parte di loro hanno un grande senso artistico e scrivono loro stessi sceneggiature per film o spettacoli teatrali, ho sempre chiesto la loro opinione sulle diverse versioni di sceneggiatura che davo loro da leggere. Hanno contribuito attivamente con idee di situazioni o di dialoghi.”
Far loro amare la Francia, si tratta di un desiderio personale?
“La frase di Sylvain Tesson, che nel film viene pronunciata da Chantal Lauby, mi è rimasta in mente per tutto il processo di scrittura della sceneggiatura: “La Francia è un paradiso popolato da persone che si credono all’Inferno”. Abbiamo in effetti la fortuna di vivere in un paese moderato e stabile e molti dei nostri concittadini, di tutte le etnie ed origini, riconoscono che non è poi così male.”
Possiamo dire che questo film è un’ode alla vita di provincia?
“I Verneuil abitano nella regione di Tour. Ho voluto rendere omaggio a quella provincia e, allo stesso tempo, fare dell’ironia, nel senso che non si fa altro che spostare il problema altrove: da Parigi alla provincia, l’erba del vicino è sempre più verde.”
Questo film vede il grande ritorno di Pascal Nzonzi, che interpreta il ruolo del suocero della Costa d’Avorio. In seguito al successo riscosso nel primo film, le è sembrato naturale che avesse un ruolo di rilievo nel sequel?
“Assolutamente. Il pubblico ha particolarmente amato la famiglia Koffi e sarebbe stata una grande delusione non ritrovarla nel secondo episodio. Inoltre, è sempre estremamente divertente mettere Pascal Nzonzi tra i piedi di Christian Clavier. Il confronto tra i due suoceri è una fantastica fonte di situazioni esilaranti anche perché, alla fine, l’ivoriano e il provinciale francese si assomigliano molto.”
Non si percepisce comunque mai una lotta tra il bene e il male. È stato particolarmente attento a rispettare sempre un certo equilibrio?
“Al cinema, quello che fa ridere il pubblico sono i difetti dei personaggi. Io non faccio altro che “caricarli” un po’. Gli attori devono poi fare in modo che i personaggi rimangano, nonostante tutto, delle persone piacevoli e simpatiche. Il loro fascino permette loro di farsi perdonare tutto. Durante la proiezione del primo film, ci siamo accorti che gli spettatori non aspettavano altro che le battute che li toccavano più da vicino: gli algerini ridevano delle battute sull’Algeria, i cinesi di quelle sulla Cina, e così via. Tutti desiderano essere rappresentati nel film.”
Come si fa a sapere fino a dove è lecito spingersi senza oltrepassare il limite?
“Rimane sempre un mistero come fare a trovare la giusta dose d’umorismo. La prima regola è far ridere se stessi e le persone con cui si lavora. Dopo aver avuto l’idea delle partenze, ho chiamato Guy Laurent, lo sceneggiatore con il quale ho collaborato, e gli ho chiesto di aiutarmi a scrivere la sceneggiatura di questo sequel. Siccome abbiamo lo stesso senso dell’umorismo, tutto funziona sempre alla perfezione. Ma è principalmente sul set, mentre giriamo le scene con gli attori, che ci rendiamo conto di quello che funziona e di quello che invece non va.”
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