Si, Chef La Brigade: la commedia traboccante di emozioni, l’intervista a Audrey Lamy
Per queste feste l’originale commedia Si, Chef La Brigade, il film diretto da Louis Julien-Petit, già autore e regista di Le invisibili. Una commedia traboccante di emozioni, con protagonisti gli interpreti d’eccezione François Cluzet e Audrey Lamy, in cui la cucina è il luogo delle seconde possibilità capace di accendere una speranza sul futuro. Tra una portata e l’altra, la sous-chef Cathy saprà contagiare una multietnica brigata di giovani con la sua passione per la cucina e imparare a sua volta a tornare alle origini e alla genuinità di un mestiere fatto con le mani, con amore e con la voglia di condividere e prendersi cura degli altri.
Si, Chef La Brigade: il trailer ufficiale
La trama
Cathy è una chef di 40 anni, innamorata del suo lavoro e con un grande sogno: aprire un ristorante stellato. Le cose però iniziano presto a non andare secondo i suoi piani e, fra conti e complessità organizzative, si trova ad affrontare da subito le difficoltà del mestiere. Per rilanciarsi, Cathy accetta con riluttanza un lavoro da dipendente in una sperduta località fuori città, in quella che scoprirà poi essere la mensa di un centro di accoglienza per giovani migranti. Inizialmente è poco convinta e per nulla entusiasta di questo nuovo lavoro, ma in breve tempo grazie alla sua straordinaria abilità e alla sua passione per la cucina inizierà a farsi amare dai ragazzi, i suoi nuovi colleghi e suoi nuovi amici, che a loro volta avranno anche tanto da insegnarle.
L’intervista a Audrey Lamy
Come descriveresti il tuo personaggio, Cathy Marie?
“Cathy Marie è un’autodidatta. Ha un progetto in mente, quello di diventare chef, e all’inizio della storia è sicura di poterlo portare a termine. È una ribelle dal cuore grande, è esigente, non accetta i soprusi dell’autorità. Se ne va dal ristorante rinomato dove lavora sbattendo la porta, convinta di poter trovare di meglio, senza sospettare che il vero problema è il suo carattere. Finisce nella mensa di un centro per migranti. Ma si aggrappa al suo sogno, accettando questo lavoro su base provvisoria. Ma questa avventura andrà oltre e la rivelerà a sé stessa.
Ciò che mi piace del personaggio è la sua evoluzione. Dal momento in cui incontra questi giovani, impara a essere generosa non solo in cucina. Questo lupo solitario, capriccioso e insolente finisce per maturare e arricchirsi trasmettendo la sua passione agli altri e realizzandosi in un altro modo. È grazie a questo lavoro che denigrava che capisce cosa significa essere una chef. Quando Lorenzo le dice che deve trovare un modo di preparare un pasto con soli 8 euro a testa, dato che la chef è lei, tutto ciò che Cathy Marie sente è: “La chef è lei”. E proprio qui c’è il miglioramento. Finalmente riceve gli strumenti per fare qualcosa, viene presa sul serio e questi giovani la galvanizzano, la arricchiscono con le loro culture e le loro esperienze. Sono loro a costruirla. Soprattutto, la fanno sentire vista e ascoltata, cosa che non le era mai capitata. Questa donna cresciuta in una famiglia adottiva che non ha mai imparato ad amare, a essere considerata, ad avere dei sentimenti, trova una famiglia nella sua brigata.”
L’obiettivo iniziale era promuovere se stessa, ma alla fine impara a cancellarsi, fino a scomparire completamente…
“Perché più va avanti, più vuole dare spazio a questi giovani. Questo è ciò che vuole raccontare Louis- Julien: mettere in evidenza le persone che non vediamo, sollevare questioni che nascondiamo sotto il tappeto perché ci fa comodo. Osa mostrare al pubblico ciò che accade intorno a noi, sottolinea dei problemi sociali reali e sceglie di affrontarli con tono comico e in modo umano. In Discount, Le Invisibili e in Sì, Chef! – La brigade, punta i riflettori su coloro che ne hanno bisogno, prendendo le distanze necessarie per dare loro spazio di esistere. L’opera di Louis-Julien è improntata alla sua personalità: ha un universo, dei preconcetti, molto carattere e soprattutto un modo tutto suo di trattare i suoi soggetti. Non obbliga nessuno a pensare in un certo modo. Apre delle porte, poi lascia al pubblico la scelta di rispondere o meno a domande che non necessariamente si era posto all’inizio. Lo fa con delicatezza, senza imporre la sua opinione.”
Louis-Julien Petit dice di aver trovato in te il suo alter-ego. Come interpreti la cosa?
“Dal mio punto di vista, è come quando balli con qualcuno e pensi: “Accidenti, ballo bene con lui! Non ho preso lezioni di ballo, ma questo compagno mi sa condurre nel valzer e la cosa mi sorprende”. Ecco come mi sento con Louis-Julien. Mi fornisce gli ingredienti che mi permettono di essere la versione migliore di me stessa. Lui e io abbiamo parlato molto di Cathy Marie a monte. Abbiamo lavorato, ricercato, scavato. È stato come a teatro, quando si è completamente impegnati in un ruolo. E io vengo proprio dal teatro. Quindi è stato un vero piacere per me. E poi c’è stata la preparazione dei mesi trascorsi in grandi ristoranti a imparare a tagliare cipolle, disossare polli, ecc. Tutto questo lavoro nutre e dà una forza incredibile al personaggio durante le riprese. Lo rende solido!
Ciò permette di riscrivere una scena all’ultimo momento o di improvvisare. L’improvvisazione è possibile solo quando si hanno delle buone fondamenta, quando ci sono un testo e una base concreti. E poi, umanamente, Louis-Julien e io andiamo d’accordo meravigliosamente, ci capiamo al volo. Si fida di me e mi offre sempre ruoli insoliti. Mi aveva già commossa il fatto che mi avesse scelto per Le Invisibili dopo avermi visto in Tout ce qui brille e Polisse. Adora gli attori ed è stupendo avere un regista che ti porta da qualche altra parte.”
E che scrive pensando a te, perché è stato così per questo film, no?
“Sì. È stato un regalo enorme. Ciò non lo ha reso una passeggiata! Lavorare con Louis-Julien è sconvolgente. Sì, Chef! – La brigade è stato girato in condizioni difficili – tra il freddo, il vento, l’incidente di François, il mio, i danni alle attrezzature, il Covid, gli scambi costanti con attori non professionisti che hanno fatto un viaggio doloroso e che si confidano e raccontano come hanno attraversato dodici Paesi, sono stati picchiati, violentati, rapiti. A fine giornata, eravamo sempre sfiniti. Ma anche felici, perché ciò che stavamo vivendo era qualcosa di forte! E quando è finito tutto, siamo tornati a casa con la sensazione di essere cresciuti e di aver imparato il nostro mestiere. Personalmente, ho imparato a riprendermi dalle difficoltà, a improvvisare con i giovani, a contenere le mie emozioni e a rimanere professionale di fronte a discorsi che esulano dalla cornice del cinema.”
Avete girato in ordine cronologico?
“Sì. Poi Louis-Julien ha riscritto la storia in fase di montaggio – fase che è un continuo del copione. Ed è tutto merito del suo talento. Anche se sa esattamente cosa vuole prima e durante le riprese, si interroga costantemente. Durante il montaggio, sposta le inquadrature per raccontare meglio le sue idee. Ad esempio, quella che apre il film, in cui Cathy Marie è sulla spiaggia, cronologicamente, è una scena che appartiene a un momento avanzato della storia (quando Cathy perde il ristorante che non appare neanche nel film) – lei si siede di fronte al mare e si chiede cosa farà. Posizionando questa immagine all’inizio, si racconta con delicatezza qualcosa di più forte: intuiamo subito che il personaggio è solo e non sa cosa fare. Adoro Louis-Julien per questo: non si fossilizza mai sulla sceneggiatura – a cui ha lavorato per un anno e mezzo – e, guardando il film, sono rimasta colpita perché non mi aspettavo un risultato di questo calibro. Quando è stato presentato al festival di Arras a novembre, ho pianto fino a dimenticarmi che io stessa avevo recitato nel film. Di fronte a una storia del genere, svaniamo. Come Cathy Marie.”
È vero che hai pianto anche quando hai saputo che avresti recitato al fianco di François Cluzet?
“Sì. In un programma condotto da Nagui, avevo detto che il mio sogno era quello di recitare con François Cluzet. Lo trovo brillante sotto qualsiasi regia. Quando Louis-Julien mi ha detto che stava pensando a lui, ero entusiasta. Ma non volevo illudermi, sarebbe stato troppo bello per essere vero. Dato che non era un ruolo di protagonista, ho pensato che avrebbe rifiutato. Ma un giorno Louis- Julien mi ha detto di aver trovato il suo Lorenzo Cardi. “Indovina”, mi ha detto. Io ci ho pensato, gli ho dato qualche nome e, dopo un po’, gli ho chiesto un indizio. “Ti piace molto”, ha risposto. Al che ho capito. E, sì, ho pianto di gioia. Quando ci siamo presentati durante le prove luci e costume, mi ha detto una cosa che non dimenticherò mai: “Farò di tutto per tirare fuori il meglio di te”. E questo, con un tono di infinita generosità. Ha classe da vendere! Mi ha fatto venire i brividi. Perché è veramente convinto, come me, che non si reciti mai da soli. Tornando all’analogia con il ballo: anche il miglior ballerino del mondo con un pessimo compagno non riuscirà a ballare bene il tango o il valzer.”
E com’è andata con Fatou Kaba?
“Molto bene. Ha un lato molto toccante, era costantemente incredula di trovarsi sul set. Fatou è della generazione di Instagram, posta foto molto curate, e non riusciva a credere di essere stata scelta per recitare in un famoso film d’autore con François Cluzet e me. Non credeva di meritarselo e si è fatta molta pressione da sola, dicendosi che doveva dare il meglio di sé. È sempre stata molto attenta, curiosa, aperta ai consigli. E a tutto quello che le abbiamo detto, ha aggiunto la sua follia, il suo lato solare, la sua personalità. Si è adattata al film come un camaleonte. Si vede che si è divertita, si vede sullo schermo. Non le importa di non risultare “instagrammabile”. Nel film perde il controllo
volentieri, è un’attrice. Una grande attrice!”
I migranti di minore età non accompagnati non avevano mai fatto cinema. Com’è andata con loro?
“Li ho conosciuti solo durante le riprese. Louis-Julien voleva che ci vedessimo per la prima volta sul set, che conoscessero Cathy Marie, non Audrey Lamy. È stato allora che ho scoperto che non avevano letto il copione. Louis-Julien mi ha avvertito: “Non seguiranno mai il copione. Tu conosci le tue battute, conosci la trama, la situazione e ti adatti. Facciamo le cose un po’ sportive, ma andrà alla grande. Partiamo all’avventura!” Ma un’avventura controllata e preparata attentamente da Louis-Julien.
La sequenza che mi ha colpito di più, ma che è stata cambiata durante il montaggio è la scena del dormitorio del centro, in cui tutti raccontano da dove vengono e io li ascolto. Parlano con calma, raccontano tragedie senza battere ciglio, con una forza incredibile. Louis-Julien ha conservato dei frammenti di quelle testimonianze e li ha inseriti come voci fuori campo nella sequenza della Madeleine di Proust al ristorante. Grazie alla sua regia, questi giovani vengono mostrati soprattutto come esseri umani. Semplicemente è capitata loro una mano di carte sfortunata. Dopo aver girato quella scena, ho trascorso alcune ore con loro e si è creato un legame. E i giorni seguenti improvvisare ci è risultato più facile. Ascoltavo quello che dicevano e adattavo le mie battute. C’era una bella chimica, una complicità, persino una osmosi. Poi erano felicissimi di essere sul set, di sentirsi visti e amati. Quando Amadou mi dice con le sue parole e la sua sincerità: “Chef, le voglio tanto bene, chef”, non ho bisogno di recitare. Le lacrime scendono da sole. Perché non si rivolge solo al personaggio, ma anche a me. Tutto si fonde. Come Le Invisibili, Sì, Chef! – La brigade mi lascerà un segno come attrice, ma soprattutto come donna e cittadina.”
credit image by Press Office – photo by Stephanie Branchu