The Old Oak: resilienza e speranza per abbattere le barriere culturali e sociali, l’intervista a Ken Loach
“The Old Oak“, diretto da Ken Loach, è un’opera potente che incarna la maestria del regista nell’esplorare temi socialmente rilevanti con un tocco umanistico e profondamente emotivo. La storia si svolge in un contesto di decadenza economica e sociale, dove un pub, simbolo di un passato più prospero, diventa il fulcro di un’inattesa fusione culturale e sociale. Con l’arrivo dei rifugiati siriani, il film svela le complessità delle dinamiche comunitarie e interculturali, mettendo in luce sia i conflitti che le potenzialità di una convivenza inclusiva.
The Old Oak: il trailer ufficiale
I personaggi sono ritratti con una delicatezza e una complessità che rendono le loro esperienze autentiche e tangibili. TJ Ballantyne, il proprietario del pub, e Yara, la giovane rifugiata siriana, diventano simboli di resilienza e speranza. Attraverso la loro interazione, il film esplora il potere della comunicazione e dell’empatia nell’abbattere le barriere culturali e sociali.
L’intervista a Ken Loach
Come è maturata l’idea di realizzare The Old Oak?
“Abbiamo realizzato due film nel Nord Est, storie di persone intrappolate in questa società spaccata. Inevitabilmente entrambe finivano male. Eppure avevamo incontrato lì tanta gente forte e generosa, che reagisce a questi tempi difficili con coraggio e determinazione. Abbiamo pensato quindi di realizzare un terzo film che riflettesse questa realtà, pur non minimizzando le difficoltà che la gente deve affrontare né cosa è accaduto in questa regione negli ultimi decenni. C’era da qualche parte un’altra storia più lunga da raccontare, se fossimo riusciti a trovarla.
Un punto di partenza è il modo in cui questa regione viene totalmente ignorata. Le vecchie industrie sono sparite – cantieri navali, acciaierie e miniere – e quasi niente è stato fatto per rimpiazzarle. Molte cittadine minerarie, un tempo vivaci comunità con un grande orgoglio per le proprie tradizioni di solidarietà, per gli sport locali e le attività culturali, sono state lasciate andare in malora dai politici, sia conservatori che laburisti.
Abbiamo capito che la gente non si è mai aspettata niente dai conservatori del partito Tory, ma che allo stesso tempo riconosceva il fallimento dei laburisti – ‘non hanno fatto niente per noi’ – nonostante si trattasse di una tradizionale roccaforte di quel partito, con Tony Blair e Peter Mandelson rappresentanti locali al Parlamento. La cosa non aveva fatto alcuna differenza. Queste comunità sono state semplicemente abbandonate a loro stesse.
Molte famiglie se ne sono andate, i negozi hanno chiuso, come pure le scuole, le biblioteche, le chiese, la maggior parte dei luoghi pubblici. Dove non c’è più lavoro, la speranza è svanita, lasciando il posto all’alienazione, alla frustrazione e alla disperazione. L’estrema destra ha allora fatto la sua comparsa in modo allarmante. Le municipalità di altre aree più prosperose hanno cominciato a trasferire in zone dove gli alloggi sono più economici individui vulnerabili e bisognosi, visti come un “problema” e dipendenti dai sussidi per la casa. L’emergere di conflitti è diventato un fatto inevitabile.
Poi c’è stato un altro punto di svolta. Il governo ha finalmente accettato i rifugiati che fuggivano dalla terribile guerra in Siria. Rispetto ad altri Paesi europei il numero di arrivi è stato inferiore, ma comunque si trattava di persone da sistemare in qualche luogo. E, di nuovo, nessuna sorpresa se è stato il Nord Est ad accoglierne più di ogni altra regione. Perché? Alloggi a buon mercato e un’area di cui i media nazionali si occupano appena.
Paul Laverty ha ascoltato le storie di quello che è successo quando le prime famiglie di siriani sono arrivate e abbiamo cominciato a pensare che quella era la storia che avremmo dovuto raccontare. Ma prima bisognava comprendere. Due comunità che vivono fianco a fianco, entrambe con problemi enormi, ma una composta da individui traumatizzati per la fuga da una guerra crudele fino all’inverosimile, distrutti dal dolore per coloro che sono morti e terribilmente preoccupati per quelli che sono rimasti lì. Stranieri in terra straniera. Possono convivere questi due gruppi? Le risposte sarebbero contrastanti. In tempi così difficili dove trovare la speranza? Sembrava una domanda difficile, e Paul Laverty, Rebecca O’Brien ed io abbiamo ritenuto di dover andare in cerca di una risposta.”
Come si sono evolute queste idee iniziali nei personaggi e nella storia di The Old Oak?
“Paul Laverty ed io abbiamo parlato molto del contesto generale. Poi Paul ha suggerito di incentrare la storia su un pub, che si sarebbe chiamato “The Old Oak”. Il suo proprietario, TJ, avrebbe rappresentato tutte le contraddizioni, con un passato da attivista nella comunità e ora afflitto dai problemi. Le storie richiedono delle relazioni tra personaggi, e allora Paul ha scritto di una donna siriana che ha imparato l’inglese nei campi profughi lavorando con i volontari delle associazioni internazionali ed è diventata anche una fotografa, imparando da autodidatta; queste esperienze hanno ampliato la sua prospettiva sul mondo che la circonda. La sua amicizia con TJ è il cuore della storia.”
Come ti sei orientato per i personaggi che vivono nel paese, quelli che respingono i nuovi arrivati?
“Come sempre, abbiamo ascoltato e abbiamo imparato. Dopo anni passati a seguire lotte e conflitti sociali, sappiamo cosa aspettarci, ma il modo preciso in cui si svolgono gli eventi e come le persone reagiscono è sempre rivelatore. Quello che è apparso chiaro è che nelle posizioni di ciascuno c’è un po’ di verità. Il problema è che tipo di conseguenze le persone traggono dalle loro verità. Aspetti un’eternità per poter vedere un dottore – di chi è la colpa? Le aule scolastiche sono troppo affollate – chi ne è responsabile?
Non c’è nessuno che possa essere identificato immediatamente come “il cattivo”. La sensazione di subire dei torti può portare le persone a prendere decisioni estreme, ma c’è sempre una logica dietro il loro comportamento. Perdere di vista questo aspetto significa sottovalutare il dramma. Questa cittadina fa parte di una comunità più vasta. Ha una lunga storia di resistenza contro gli attacchi e lo sfruttamento, prima da parte dei vecchi padroni delle miniere e, più recentemente, da parte di Margaret Thatcher e della chiusura imposta dei pozzi. Queste lotte hanno insegnato la solidarietà e il valore dell’appoggio internazionale.
Ma l’indebolimento del potere dei sindacati ha lasciato gli individui soli a difendersi. L’individualismo al primo posto, ‘la società non esiste’, il culto dell’imprenditorialità: tutte cose che hanno operato delle modificazioni nelle coscienze in grado di affossare i vecchi valori. E determinare come le famiglie siriane vengono accolte. Perciò abbiamo ascoltato, osservato, e poi Paul Laverty ha scritto la sceneggiatura.”
Come volevi rappresentare le famiglie siriane che arrivano in paese?
“Il principio è sempre lo stesso. Ascoltare, osservare e lasciare che le persone siano loro stesse. Il casting è cruciale. Era chiaro che i siriani nel film dovessero essere quelli che si sono stabiliti nella zona. La sceneggiatura di Paul Laverty ha dato loro la libertà di dare un contributo in modo che la storia riflettesse davvero le loro esperienze.
I dettagli erano importanti, e abbiamo imparato moltissimo. Come in tutti i gruppi, le persone sono diverse una dall’altra. Alcune famiglie erano più tradizionali, altre molto meno. Alcuni avevano imparato l’inglese; per altri era difficile – cosa che capivo benissimo. Tutti ci hanno offerto generosamente il loro tempo, molti si sono impegnati con slancio nel progetto, e i dolci che portavano sul set sono diventati leggendari!
Siamo stati fortunati ad incontrare due persone che ci hanno guidato per aiutarci a stabilire un rapporto con le famiglie siriane. Yasmeen Ghrawi è stata impagabile durante il casting e di tanto in tanto durante le riprese. Sham Ziad è diventata il nostro collegamento con le famiglie, sensibile e attenta a tutte le questioni che si ponevano giorno dopo giorno.
Mano a mano che procedevamo, qualche volta abbiamo dovuto modificare leggermente alcuni dettagli. Alcune madri siriane non si sentivano a loro agio nell’entrare in un pub e si preoccupavano che le loro teste rimanessero sempre coperte. Siamo stati sempre reattivi perché era importante che tutti venissero rispettati e si sentissero a proprio agio. Ci siamo fatti un sacco di risate e abbiamo stretto anche molte nuove amicizie.”
Il resto del casting?
“Dopo la sceneggiatura il casting è l’elemento più importante in qualsiasi film. In The Old Oak volevamo che tutti, a parte i siriani, provenissero dalla comunità locale. Le reazioni così diverse alla presenza dei siriani avevano origine in persone che vivevano nelle stesse strade, condividevano la stessa storia e sapevano che in passato c’erano stati tempi migliori di questi. Poi è apparso evidente che la stessa esperienza può essere vissuta in modi completamente diversi, i conflitti che emergono in situazioni drammatiche traggono spesso origine dalla stessa fonte.
Perciò avremmo dovuto trovare persone che sembrassero del posto. Nessuno ha parlato con un accento che non fosse il suo. Potevano entrare all’improvviso in un pub vero ed essere scambiati per gente del posto. Questo potrebbe sembrare limitante, invece è stato l’opposto. Abbiamo trovato tantissime persone di talento, da attori affermati a relativi esordienti, molti dei quali con un vissuto che ci ha colpito immediatamente.
Kahleen Crawford è stata la nostra direttrice casting per molti film e lei, Carla ed Eliza hanno lavorato sodo per assicurarsi che incontrassimo chiunque potesse andar bene per le parti. Dopo aver realizzato tantissimi film non dovrei sorprendermi dalla capacità di molti di far sembrare reali situazioni di finzione. Chiunque abbiamo incontrato aveva qualcosa da offrire, e alla fine abbiamo dovuto rimpiangere il fatto che un cast tanto numeroso non lo fosse ancora di più.
A parte TJ, Yara e Charlie, di cui parleremo dopo, c’erano diversi ruoli importanti da coprire. Due dei più complicati erano quelli di Vic e Gary, che nella storia assumono una linea dura opponendosi all’arrivo dei siriani. Chris McGlade e Jordan Louis hanno compreso le ragioni di quella ostilità e si sono impegnati a rappresentarla con decisione ma senza andare sopra le righe. E’ importante che il pubblico comprenda Vic e Gary, che loro siano credibili. Credo che Chris e Jordan ci siano riusciti senza compromessi.
Altri due ruoli chiave sono quello di Laura, una delle poche nel villaggio ad accogliere positivamente i nuovi arrivati fin dall’inizio, e Fatima, la madre di Yara e dei suoi tre fratelli minori. La positività, il calore e l’ottimismo di Clare Rodgerson sono stati ingredienti indispensabili per la storia. Se conosci Clare non puoi fare a meno di restare colpito dalla sua energia e dalla sua chiara comprensione delle reali tensioni nella regione, simili a quelle nel film.
Amna, che ha interpretato Fatima, come tutte le madri siriane era ansiosa di esprimere la sua gratitudine per essergli stata assegnata una casa e per la gentilezza degli stranieri. Le storie di guerra, crudeltà, torture e morte erano devastanti, ed eravamo meravigliati dalla forza d’animo delle persone che riescono a conservare nonostante tutto la loro umanità. Amna ha dimostrato di possedere una qualità essenziale, quella della credibilità. Ha fatto in modo che la finzione sembrasse reale.Era ad Amna che mi rivolgevo se avevo un problema complicato su come far funzionare una scena. Magari c’erano dettagli di natura culturale per cui avevo bisogno di essere guidato. L’aiuto di Amna è stato fondamentale.”
Chi è TJ?
“TJ è un uomo sulla cinquantina, nato e cresciuto nel villaggio. Aveva iniziato a lavorare in miniera poco prima dello sciopero del 1984. Quell’esperienza l’aveva reso un militante e ne aveva fatto un leader nella comunità, un organizzatore di partite di calcio per i ragazzi più giovani. Quando il pozzo è stato chiuso, ha fatto diversi lavori. Poi suo padre ha perso la vita sul lavoro e con il risarcimento ottenuto sua madre aveva potuto comprare un pub, The Old Oak.
Il villaggio prosperava, e così anche il pub. Più tardi, quando TJ l’ha ereditato, la miniera era stata chiusa e senza più lavoro l’economia locale era collassata. TJ ha fatto del suo meglio per tenere aperto The Old Oak, che è l’ultimo pub rimasto nel paese. Ma TJ fa fatica ad andare avanti. Il suo matrimonio è fallito, il suo unico figlio vive lontano, ha abbandonato le sue attività sociali, e tenere aperto The Old Oak è diventata la sua unica preoccupazione.
Capisce benissimo le vicende politiche e le conseguenze sociali di quello che è successo ma ha perso la voglia di lottare. Come molti altri sa chi sono i responsabili del disastro a cui assiste e che prova sulla sua pelle, ed è consapevole che fatto che la sua gente è stata tradita da coloro che proclamavano di volerla difendere. Ha una sola amica fidata, la sua cagnolina, Marra. Lei non pretende niente ed è sempre pronta a farlo sorridere.
Poi arrivano i siriani. Una nuova serie di problemi e lui è in difficoltà. Il film è in parte la storia di come TJ reagisce a questa nuova situazione. Non è una scelta facile; momenti di disperazione personale indeboliscono quello che resta del suo ottimismo. Incontra Yara ed è profondamente toccato da lei, dai siriani e dalle storie che raccontano, ma può riuscire a trovare la forza di intervenire per difenderli in questa piccola comunità tanto divisa?
Lavorare con Dave Turner è stato un vero piacere. La storia era profondamente sua. Ha gestito un pub. Ma, cosa ancora più importante, ha vissuto la storia con vera partecipazione mentre giravamo giorno per giorno. Non avremmo potuto immaginare nessun altro per interpretare TJ.”
Chi è Yara?
“Yara è la maggiore dei figli di Fatima ed è appena ventenne. Dopo essere fuggita dalla guerra, la famiglia ha vissuto in un campo profughi, probabilmente in Libano. Per Yara è stata un’esperienza in grado di trasformarla. I volontari internazionali l’hanno presa sotto la loro ala protettrice, ha imparato le lingue, in particolare l’inglese, ha lavorato al fianco di coordinatori, insegnanti e medici, e ha capito come comunicare con persone provenienti da ambienti e mondi diversi, ed è quindi diventata più cosmopolita anche nell’aspetto. Cosa che probabilmente avrà creato problemi con la madre, problemi ormai felicemente risolti.
Il padre di Yara è una figura importante nel suo mondo. E’ un sarto, un buon artigiano, un uomo saggio e un padre affettuoso. Si è accorto del talento di Yara e fa del suo meglio per lei, come per tutti i suoi figli. Lui e la madre di Yara sono uniti. E’ o, meglio, era una famiglia tranquilla e al sicuro. Poi suo padre ha infastidito le autorità e adesso è in prigione in Siria.
Yara fa presto a comprendere la loro situazione. Sono stati piazzati in questo borgo inglese, sulla costa nordorientale, dove le spiagge sono inquinate dagli scarichi industriali e la prima reazione della popolazione locale è ostile. È naturale che Yara, conoscendo la lingua, sia la prima ad entrare in contatto con la gente del posto ma ci vogliono il fegato e la sicurezza della giovinezza per farsi avanti in mezzo ad una folla di estranei. Eppure lei lo fa. E TJ non può fare a meno di restare colpito dal suo coraggio. È l’inizio di un’amicizia. Che poi possa durare è un’altra questione.
Trovare qualcuno per interpretare Yara ci ha portato ad incontrare molte persone sia qui che in Siria. Registi, amici di quelle parti, ci hanno dato buoni suggerimenti, così abbiamo visto molte persone su zoom, e tre di queste sono venute a Newcastle. Erano tutte fantastiche ma ovviamente diverse una dall’altra. Ebla era la più simile al personaggio scritto da Paul Laverty. Come Dave Turner e TJ, Ebla è diventata Yara fin dal primo giorno. Il suo modo semplice e diretto di comunicare, legato alla sua personalità calorosa ed empatica, hanno fatto sì che si integrasse immediatamente nel team. Qualche volta Ebla non sapeva di essere inquadrata, ma io mi accorgevo che i suoi occhi erano sempre accesi per la concentrazione e il suo impegno sempre costante.”
Chi è Charlie?
“Charlie è un brav’uomo. Un amico d’infanzia di TJ; sono cresciuti insieme, in famiglie vicine, e le loro vite da adulti si assomigliano. Mentre TJ era attivo nella comunità, Charlie era un tranquillo padre di famiglia, probabilmente con un paio di figli, uno dei quali, una figlia, vive non lontano. Lui e sua moglie Mary hanno acquistato la villetta a schiera nella quale vivevano in affitto quando è stata offerta loro ad un prezzo ragionevole. L’hanno sempre considerata come un investimento sicuro e come la casa nella quale avrebbero vissuto per tutta la vita. Ma hanno avuto sfortuna.
Mary è affetta da una malattia che la costringe sulla sedia a rotelle. Altre famiglie della zona sono andate via, gli alloggi sono diventati più economici, nuovi vicini si sono impossessati di quelle strade, alcuni dei quali portando problemi, e una comunità basata sul buon vicinato non esiste più. Charlie e Mary sono incastrati. Non avranno quella vita serena e sicura da pensionati che immaginavano. Charlie, come molti altri, si sente abbandonato.
The Old Oak è il suo regolare rifugio, dove può farsi una pinta di birra tranquillamente con gli amici; questo lo aiuta ad occuparsi di Mary, e i due traggono soddisfazione dalla loro bella casa in ordine e dai figli amorevoli. Ma questo costituisce solo un fragile appiglio a ciò che resta delle loro speranze. Se un solo nuovo problema si presentasse all’improvviso per lui o per Mary, Charlie potrebbe crollare. Anche se è una brava persona, c’è un limite a quello che può sopportare.
Trevor Fox, che interpreta Charlie, è stato un solido punto di riferimento per tutto il team. Trevor non è solo un bravissimo attore di grande esperienza, è anche originario di quella zona, vive lì ed immerso nella vita quotidiana dei personaggi descritti da Paul. Ha compreso le frustrazioni non palesate della vita di Charlie e il suo forte bisogno di aggrapparsi a ciò che è familiare e rassicurante.
Un altro aspetto di Charlie riguarda il fatto che anche lui ricorda la solidarietà tra i minatori durante lo sciopero, i principi ai quali facevano riferimento, e come quei punti di forza siano diventati progressivamente irrilevanti nel mondo di oggi, in cui l’individualismo trionfa sul senso della collettività. Charlie non lo direbbe così, ma lo sente comunque nel profondo. La disperazione può condurci a compiere azioni estreme. Trevor rappresenta questo elemento cruciale della storia.”
Il film è ambientato nel 2016 e non viene specificato in quale cittadina del Nord Est si svolge. Perché?
Il 2016 è stato l’anno in cui sono arrivati i primi rifugiati dalla Siria. Evidentemente non si era sufficientemente preparati, ed è stato nel 2016 che ha avuto luogo l’avvenimento che ha suscitato l’interesse di Paul Laverty. Un autobus che trasportava rifugiati era stato accolto dalla popolazione in modo molto ostile e c’era voluta molta fatica per stabilire delle buone relazioni.
Durante la preparazione e le riprese del film, la municipalità di Durham è stata di grande aiuto, e le famiglie siriane avevano apprezzato la buona accoglienza ricevuta. Si sentivano ancora storie di isolati atti di aggressione, ma stavano gradualmente sparendo. Purtroppo le decisioni del governo centrale hanno provocato problemi. Perché mettere i rifugiati in aree depresse dove la gente vive poveramente, l’infrastruttura sociale è già sotto pressione e la negligenza generale dura da ormai tanto tempo? Beh, ponendo la domanda in questo modo, conosciamo già la risposta.
La cittadina del film non corrisponde ad una particolare cittadina esistente. Conoscevamo già Easington, qualcuno di noi ci aveva lavorato e avevamo degli amici là. Paul Laverty ha reso il mare un elemento importante della storia e, sebbene la spiaggia di Easington non sia più nera per il carbone portato dalle onde, è ancora segnata dagli scarichi industriali. La vicina Horden ha una distesa impressionante di strade con villette a schiera, classico esempio di tradizionali abitazioni dei minatori, costruite per radunarli attorno alle miniere.
E a Murton c’è un pub vuoto, in un grazioso edificio, con un proprietario molto gentile che ci ha aiutati enormemente. Ma sebbene le cittadine scelte fossero località giuste per lavorarci, sono assolutamente tipiche e simili a molte altre, e questa storia potrebbe essere ambientata in un’altra qualsiasi di queste. Riassumendo, girare tre film nel Nord Est è stata un’esperienza forte. I cliché corrispondono a verità – gente accogliente e generosa, panorami magnifici, e una cultura fondata sulle ristrettezze, le lotte e la solidarietà.
Anche se con qualche piccola differenza, questo vale per molte altre regioni operaie dove abbiamo avuto la fortuna di lavorare: Glasgow e Clydeside, Liverpool e la sua rivale Manchester, South Yorkshire e altre. Non sono state scelte a caso: sono le regioni in cui gli scrittori hanno scritto le loro storie. Ovviamente ci sono altre zone che possono vantare le stesse qualità – fatica, lotta e solidarietà. L’ultima tra le qualità citate rappresenta la nostra forza. Un giorno dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte. Abbiamo già aspettato troppo a lungo.”
Da vedere perché
“The Old Oak” non è solo un film, ma un veicolo di riflessione e consapevolezza sociale. Offre uno sguardo senza filtri su temi come l’integrazione, la resilienza di una comunità in difficoltà e la ricerca della speranza in tempi di incertezza. Con la sua capacità di evocare emozioni e stimolare il pensiero, si pone come un’opera cinematografica significativa e necessaria… soprattutto in questo particolare momento storico.
Il film è uscito nelle sale cinematografiche italiane distribuito da Lucky Red.