Van Gogh film 2019: l’intensità febbrile della sua arte
Van Gogh film 2019 – Esce oggi al cinema Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità. Un film sulla creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della realtà.
22 anni dopo Basquiat, Julian Schnabel torna a parlarci della grande arte e lo fa portando al cinema gli ultimi, tormentati anni di Vincent Van Gogh. Il genio “maledetto” di Vincent Van Gogh raccontato attraverso gli occhi di un artista contemporaneo, con la collaborazione di Jean-Claude Carriere per la sceneggiatura.
Ad interpretare l’irrequieto pittore olandese Willem Dafoe, premiato alla Mostra d’arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi per il Miglior attore e con una nomination per il Miglior Attore in un film drammatico ai prossimi Golden Globe.
Dal burrascoso rapporto con Gauguin a quello viscerale con il fratello, fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero.
Può un film raccontare — seppure con il linguaggio che gli è proprio e alterando la dimensione temporale — l’intenso turbinio di sentimenti e di carica vitale che sono all’origine dell’atto del dipingere? È stata proprio questa apparente impossibilità ad attrarre Julian Schnabel e a fargli decidere di realizzare Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il film con il quale ha cercato di cogliere aspetti spesso trascurati in altri film sugli artisti, offrendo una visione personale degli ultimi giorni di vita di Van Gogh, un artista diverso da tutti gli altri.
Una storia che intende mostrare dall’interno come ci si senta nel momento della creazione di un’opera (quel momento magico, viscerale e violento che sfugge ad ogni definizione e cancella il tempo), la fatica fisica e la dedizione assoluta che caratterizzano la vita di un artista, in particolare quella di un pittore.
Il risultato è un’esperienza cinematografica caleidoscopica e sorprendente, che tratta tanto del ruolo dell’artista nel mondo, della sua vita e della sua impronta eterna, quanto della bellezza e della meraviglia che Van Gogh – inconsapevole del suo impatto sulle generazioni future – ci ha lasciato.
Racconta Schnabel: “Il ritratto di Van Gogh che emerge dal film deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui”.
Van Gogh è diventato per Schnabel, per Jean-Claude Carrière e Louise Kugelberg (suoi cosceneggiatori e co montatrice), e fondamentalmente per tutto il cast e la troupe del film, un prisma attraverso il quale riscoprire l’instancabile anelito dell’uomo ad esprimersi e a comunicare.
Il film attinge a lettere, biografie, leggende delle quali tutti hanno sentito parlare, anche se in fondo si tratta di un lavoro di pura immaginazione, un’ode allo spirito artistico e a coloro che hanno convinzioni così assolute da dedicarvi tutta la loro vita.
Il progetto per Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità è nato in un museo. Julian Schnabel aveva portato il suo amico, il noto scrittore, romanziere e attore Jean-Claude Carrière, al Musée d’Orsay per vedere una mostra dal titolo “Van Gogh/Artaud: Il suicidato della società” (ispirata all’omonimo libro dello scrittore, poeta e visionario francese Antonin Artaud).
Mentre i due si aggiravano tra i 40 dipinti della mostra—tra i quali “Ritratto dell’artista”, “La sedia di Gauguin”, “Ritratto del dottor Gachet”, “Augustine Roulin” e “Un paio di scarpe” — hanno cominciato a parlare di un film, e così l’idea ha improvvisamente preso vita in modo del tutto inatteso.
In quel pomeriggio trascorso al museo, Schnabel aveva già cominciato ad intuire il tipo di struttura del film che avrebbe voluto girare. “Quando sei davanti a singole opere, ciascuna ti dice qualcosa di diverso. Ma dopo aver visto 30 quadri, l’esperienza diventa qualcosa di più. Diventa la somma di tutte quelle sensazioni messe insieme”, descrive. “È l’effetto che volevo ottenere con il film, rendere la struttura tale che ogni evento che vediamo accadere a Vincent potesse sommarsi ai precedenti, come se chi guardasse potesse vivere tutta la sua vita in un momento”.
A partire da quella prima idea, Schnabel e Carrière hanno cominciato a pensare a come svilupparla. Racconta Carrière: “Abbiamo iniziato scrivendo insieme e leggendo molto, ma l’idea non è mai stata quella di lavorare su una biografia o di soddisfare le solite curiosità. Quello che ci interessava era che Van Gogh negli ultimi anni della sua vita fosse del tutto consapevole di aver acquisito una nuova visione del mondo, di non dipingere più come facevano gli altri pittori. Offriva alla gente un nuovo modo di guardare le cose, e questo modo di vedere le cose è quello che volevamo mostrare nel film”.
I quadri e i disegni di Van Gogh rivelano il punto di vista di qualcuno lontano dalla società ma immerso nella natura. Ripercorre i suoi passi e il suo cammino, per poter vedere quello che lui ha visto. Il silenzio è importante quanto i dialoghi, i paesaggi sono importanti quanto i ritratti.
Dice infatti Schnabel: “Tutti abbiamo una malattia terminale che si chiama vita. La pittura è una pratica che in un certo senso affronta la morte, perché è connessa alla vita ma in modo diverso, riuscendo a farti accedere ad un’altra dimensione. L’arte può superare la morte.”
Il film va oltre il classico biopic. È davvero il film di un pittore, la visione di un artista che ci dà modo di conoscere il processo creativo nell’arte. Ci sono momenti rivelatori in cui la macchina da presa diventa letteralmente Van Gogh.