Wolfkin: l’atteso film horror del regista lussemburghese Jacques Molitor, l’intervista
Wolfkin è l’elegante e affascinante fantasy/horror del regista lussemburghese Jacques Molitor. Conteso dai festival internazionali e molto apprezzato da critica e pubblico, il film uscirà in sala il 24 agosto distribuito da Satine Noir. Attraverso il racconto di una madre e di un figlio, unitissimi nell’amore ma divisi dal destino, Jacques Molitor offre uno sguardo intenso e originale su uno dei miti gotici più misteriosi e intriganti e, al tempo stesso, affronta in modo innovativo il genere horror, fondendolo con una critica sociale di rilevante attualità.
Wolfkin: il trailer ufficiale
La trama
Bruxelles. La trentacinquenne Elaine è una madre single che combatte giornalmente per conciliare i pressanti e necessari impegni lavorativi e la crescita del proprio figlio Martin, di ormai dieci anni. Il ragazzino è frutto dell’amore con Patrick, un giovane tanto affascinante quanto misterioso, che l’ha improvvisamente e inspiegabilmente abbandonata al termine di un ultimo appassionato rapporto amoroso.
A Martin manca il padre, che non ha mai conosciuto, anche se ama moltissimo la madre con cui ha un legame di profonda complicità e con cui è abituato a confidarsi. Da qualche tempo il ragazzo, solitamente dolce e affettuoso, ha iniziato a manifestare atteggiamenti aggressivi strani e incontrollabili, incomprensibili anche per mamma Elaine e per lei sempre più difficili da gestire. La situazione precipita in modo drammatico quando, durante la sua festa di compleanno, Martin morde selvaggiamente a sangue uno dei suoi compagni di classe.
Disperata e alla ricerca di aiuto e risposte, Elaine decide di recarsi con il figlio dai nonni paterni, importanti viticoltori della regione della Mosella lussemburghese. Elaine e Martin vengono accolti calorosamente nella lussuosa magione di Adrienne e Joseph Urwald ed entrambi rimangono inizialmente affascinati dall’aura di sontuoso mistero che aleggia nella tenuta di questa antica famiglia di cacciatori, molto religiosi e legati alle proprie origini e tradizioni.
L’emozione dei nonni nell’incontrare Martin è grande, anche perché suo padre Patrick, il loro primogenito, manca da casa da anni e ora possono contare unicamente sul figlio minore Jean per portare avanti la propria dinastia. Molto conservatore e protettivo nei confronti della famiglia, Jean, a sua volta, aspetta un figlio dalla compagna Tatiana, e considera il nascituro come l’unico degno erede della grande famiglia Urwald.
Per questo non nasconde un’immediata diffidenza nei confronti di Martin e astio verso Elaine che, affascinata ma anche turbata dalla vita che si svolge nella magione, cerca risposte alle proprie domande con la propria curiosità di donna libera e fuori dagli schemi. Per quanto perplessa e turbata, Elaine vede che a Martin piace stare in quella casa e ne trae giovamento e accetta così di prolungarne la permanenza.
Un giorno, però, assiste a una scena raccapricciante che la sconvolge: Martin è stato punito in modo brutale e violento dai nonni per
aver disatteso un misterioso ordine, una punizione che Elaine trova folle e inesplicabile e che la fa scappare di corsa insieme al ragazzo a Bruxelles. Ma, una volta a casa, dietro l’apparente ritrovata normalità giace latente la più brutale delle rivelazioni.
La natura di quella elegante ma oscura famiglia esplode violentemente davanti ai suoi occhi ed Elaine è ormai consapevole che di quel destino fa parte anche suo figlio. Fino a che punto potrà spingersi per il bene di Martin, sarà disposta ad accettare una sua sofferente “normalità” o a lasciarlo libero di accogliere la sua natura?
L’intervista al regista Jacques Molitor
Come nasce Wolfkin?
“Ho sempre desiderato realizzare un film horror, che per me rappresenta il genere per eccellenza attraverso cui esprimere idee personali o politiche. In effetti, le origini di Wolfkin risalgono a una situazione che mi ha toccato personalmente. Anni fa, ho scoperto che gran parte della storia della mia famiglia e della mia identità erano una bugia bianca. Uno shock che mi ha portato a confrontarmi e a pormi domande difficili sulla condizione umana. Come possiamo definire realmente i legami familiari? Si tratta di amore, valori condivisi… o la nostra identità è un mero risultato della genetica?”
Se dovesse ridurre Wolfkin a un unico tema, quale sceglierebbe?
“Wolfkin è una storia sull’amore incondizionato, che si rivela pienamente solo quando Elaine accetta la maledizione che giace sopita in suo figlio ed è pronta a perdere il Martin che conosce affinché possa seguire il suo destino. “Vuole che Suo figlio diventi un mostro da circo?” chiede, con profonda serietà, il medico di famiglia a Elaine. In realtà, desidera solo conformare Martin alle “norme”, proprio come hanno fatto generazioni di professionisti della sanità nel corso della storia con persone che hanno avuto la sfortuna di essere diverse. Al tempo stesso, l’intrusione dell’ “altro” è sempre stato un argomento importante nei film dell’orrore. Dalle mutazioni corporee di Cronenberg, ai mostri amichevoli di Guillermo Del Toro, ai libertini notturni di Clive Barker, ho sempre avuto una grande predilezione per queste creature e ho scritto il personaggio di Martin con queste creature in testa.”
Chi sono i personaggi principali e qual è la loro posta in gioco?
“Elaine, la protagonista, è uno spirito idealista e libero che spesso si scontra con chi la circonda. Il rapporto simbiotico che la lega al figlio Martin oscilla tra puro amore e senso di colpa: Patrick, il padre di Martin, è scomparso appena ha appreso della sua gravidanza, senza mai averle spiegato i motivi per cui l’idea di avere un bambino gli ha causato tanta angoscia. Oggi Elaine difende il comportamento sempre più inquietante del figlio, compensando così la sua mancanza di fiducia materna. Nel frattempo, Martin è combattuto tra la rigida educazione dei suoi nonni (che vogliono sopprimere l’animale dentro di lui e cancellare ogni traccia della sua bestialità) e il desiderio di diventare un lupo, come suo padre.”
Cosa ci racconta Wolfkin della società e del Lussemburgo?
“Wolfkin parla della differenza, dell’accettazione, del posto delle donne nella società, ma anche delle pretese, delle tradizioni tossiche che si perpetuano. Elaine rappresenta la madre single, che purtroppo è ancora ostracizzata nella nostra società. Combatte per esistere con suo figlio, e vivere come desidera. La società invece vuole costringerla a conformarsi a un modello definito. La famiglia Urwald rappresenta una famiglia isolata, patriarcale. Adrienne ne è entrata a far parte rafforzando queste tradizioni e relazioni tossiche, che gradualmente finiscono per rinchiudere anche Elaine, che non riesce più a far sentire la propria voce. C’è ovviamente un riferimento alla serie distopica “The Handmaid’s Tale”.
Il film parla anche della difficoltà di integrazione per uno straniero in Lussemburgo. Ho deliberatamente scelto la bellissima regione turistica della Mosella per ambientare gli eventi oscuri che vi si svolgono davvero. Wolfkin tende a scavare il marciume sepolto sotto la superficie dal mio Paese natale che sembra così perfetto. La famiglia Urwald (giungla in tedesco) è l’incarnazione della paranoia di certi reazionari lussemburghesi: la paura viscerale di perdere la propria cultura e lingua.
Adrienne e Joseph, i più anziani, si aggrappano disperatamente alle tradizioni in un mondo in continua evoluzione a cui aspirano ancora ad appartenere. Il motto del Granducato è una frase tratta dalla canzone De Feierwon del poeta Michel Lentz: “Mir wëlle bleiwe wat mir sinn” (“vogliamo restare ciò che siamo”). Gli Urwald trasformano questa frase in una linea di preghiera durante i loro segreti rituali cannibalistici: “Nascondiamo chi siamo e mangiamo ciò che vogliamo essere”. Questo riassume praticamente la loro esistenza ipocrita.”
Come è stato lavorare con il team durante le riprese?
“Abbiamo girato il film nel 2021, ancora sotto le restrizioni del Covid, è stata una vera sfida, viste le tante scene complesse e gli effetti speciali che abbiamo dovuto realizzare. Fortunatamente, l’intero team è stato estremamente professionale e siamo diventati molto rapidamente una vera famiglia. Con Amandine Klee, direttrice della fotografia, abbiamo deciso di lavorare quasi esclusivamente su set dal vivo e alla luce del giorno. Insieme ai reparti delle scenografie e dei costumi, abbiamo definito schemi cromatici precisi per ogni parte della storia: blu e grigio per rappresentare la vita di Elaine a Bruxelles, toni terrosi e rosso sangue per la famiglia Urwald, ecc.
La composizione musicale originale di Daniel Offermann mescola strumenti classici con elementi elettronici per riflettere lo scontro di culture al centro della storia. Daniel ha creato temi ricorrenti per ogni soggetto e personaggio principale: il suono pieno di sentimento del pianoforte per Elaine e Martin, il tema della caccia usando le percussioni per la famiglia Urwald, il “richiamo della foresta” che evoca Martin… temi che si intrecciano sempre di più, man mano che Elaine diventa un membro della famiglia.”